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Covid-19, in Grecia è allarme per i campi profughi

Anna Clementi
14 marzo 2020
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Covid-19, in Grecia è allarme per i campi profughi
La scuola dell'ong svizzera One Happy Family devastata da un incendio doloso nel campo profughi di Lesbo.

A metà marzo in Grecia il numero di contagiati da Covid-19 è ormai sopra i 200. Preoccupante la situazione delle isole greche dell'Egeo: un eventuale contagio potrebbe rivelarsi letale per migliaia di persone bloccate nei campi profughi.


A Lesbo è massima allerta. Il 9 marzo l’istituto Pasteur di Atene ha confermato il primo caso di coronavirus nell’isola: si tratta di una donna greca di 40 anni, madre di due figli, commessa in un negozio nella località di Plomari, rientrata a fine febbraio da un viaggio in Israele. La donna si trova ora ricoverata in isolamento nell’ospedale di Mitilene, la principale città dell’isola, a circa 40 chilometri dal paese di residenza.

Con un sistema sanitario al collasso che ha subito grossi tagli a seguito delle misure di austerità imposte dall’Unione Europea e che ha visto una progressiva diminuzione del personale medico e dei posti letto in terapia intensiva (a Lesbo se ne contano solo 6), la Grecia si trova del tutto impreparata ad affrontare l’epidemia di coronavirus. La notizia del primo contagio nell’isola ha subito messo in allarme non solo le autorità sanitarie locali, ma anche le organizzazioni umanitarie che operano a Lesbo: un eventuale contagio potrebbe causare una catastrofe all’interno dei campi profughi.

Nell’hotspot di Moria, che ha una capacità massima di 3.100 posti, vivono 20 mila persone, di cui oltre la metà ha meno di 18 anni, in condizioni di gravi e diffuse violazioni dei diritti umani, in tende e in container sovraffollati, al di sotto di ogni standard umanitario. Molti non hanno nemmeno accesso all’acqua calda e al sapone, rendendo impossibile anche i minimi gesti di prevenzione per evitare il contagio.

Anche se negli ultimi giorni sono nate alcune iniziative di sensibilizzazione per informare i richiedenti asilo e i rifugiati nella loro lingua madre sulle misure per contrastare il virus, come la rete Refugee – Corona Information Resource, l’appello che molte organizzazioni umanitarie stanno rivolgendo al governo greco e all’Unione Europea è di decongestionare gli hotspot delle isole e di creare corridoi umanitari versi gli Stati europei per i soggetti più vulnerabili, tra cui i minori stranieri non accompagnati.

In una situazione già al tracollo, in uno «stato di emergenza cronico», risultato di «scelte politiche deliberate», come hanno più volte denunciato numerose ong, tra cui Medici Senza Frontiere, gli eventi delle ultime settimane hanno ulteriormente alzato il livello della tensione nell’isola: mentre la Turchia tiene aperti i propri confini per porre nuove pressioni all’Unione Europea e mentre la polizia di frontiera greca respinge violentemente chi cerca di attraversare il confine via terra e via mare (si contano almeno due persone uccise alla frontiera del fiume Evros), a Lesbo volontari, attivisti, giornalisti e richiedenti asilo sono presi di mira da parte di gruppi di estrema destra con atti violenti e intimidatori, tanto che molte organizzazioni hanno dovuto sospendere per alcuni giorni le loro attività di supporto. L’8 marzo un incendio, con ogni probabilità di origine dolosa, ha distrutto parte delle strutture, tra cui la scuola, dell’ong svizzera One happy family, punto di riferimento per tanti migranti dell’isola.

In questo clima di forte tensione politica e di catastrofe umanitaria, la Grecia ha scelto di portare avanti una politica di difesa dei propri confini, che è stata subito fortemente criticata dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur/Unhcr): sospensione per un mese delle richieste d’asilo, rimpatrio immediato, laddove sia possibile, di chi entra illegalmente nel Paese, e schieramento di forze armate al confine per impedire nuovi ingressi.

In questo scenario, rimane da capire quale sarà il ruolo che sceglierà di avere l’Unione Europea a quasi quattro anni dall’accordo siglato con la Turchia: se deciderà di rinnovare l’intesa con Erdogan e di rinforzare i controlli al confine greco-turco oppure se opterà per un programma di ricollocamento consistente e di lungo periodo nei diversi Stati europei delle persone vulnerabili che da anni sono costrette a vivere nelle isole greche dell’Egeo.

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