In Egitto il capo dello Stato Abdel Fattah al-Sisi e lo sceicco Ahmed al-Tayeb hanno rapporti sempre più tesi. Il primo chiede al secondo riformare alcune pratiche nel diritto di famiglia islamico e tutelare le donne; il religioso, piccato, suggerisce al governo di occuparsi della povertà dilagante.
È molto interessante la polemica che da qualche tempo oppone, in maniera diretta e aspra, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi a Sheikh Ahmed al-Tayeb, il grande imam della moschea di Al-Azhar del Cairo. I due protagonisti sono noti. Al-Sisi, ex capo dei servizi segreti, ex capo delle forze armate ed ex ministro della Difesa, è diventato primo ministro nel 2013 con un colpo di Stato militare e a ruota, nel 2014, presidente della repubblica. Al-Tayeb, già docente alla Sorbona e preside di facoltà teologiche di università islamiche in Egitto e in altri Paesi, oltre che ex gran muftì dell’Egitto, è il grande imam di Al-Azhar dal 2010. I cattolici lo ricordano bene perché il 4 febbraio 2019 ha firmato con papa Francesco lo storico Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune.
Ma di che cosa discutono, dunque, questi personaggi? La polemica va avanti da tempo (e nelle ultime settimane Al-Tayeb è stato sottoposto a un piccolo linciaggio mediatico da parte dei giornali più vicini al governo) ma è diventata pubblica il 24 gennaio, giorno della festa della polizia. Per l’occasione Al-Sisi, che parlava davanti a uno scelto pubblico che comprendeva anche il grande imam, ha tenuto un discorso in diretta televisiva in cui ha criticato la pratica, assai diffusa in Egitto, del «divorzio verbale». Quel sistema per cui un marito può ripudiare la moglie pronunciando la formula «E dunque io, con la presente dichiarazione, divorzio da te». Al-Sisi ha detto tra l’altro: «Se per il matrimonio occorrono documenti scritti, perché per il divorzio bastano poche parole?». Poi, con intento provocatorio, si è rivolto (sempre in diretta tivù) ad Al-Tayeb chiedendogli: «Lei concorda con me, eminenza?». Per chiosare, con tono fintamente scherzoso, davanti alle telecamere: «Sua eminenza è un osso duro!».
Un incidente di percorso? No. Per mettere le cose bene in chiaro Al-Sisi, pochi giorni dopo, non ha presenziato alla grande conferenza internazionale (con delegati di 46 Paesi) organizzata da Al-Azhar sul Rinnovamento del pensiero islamico. E durante i lavori Mohammed Othman Elkhosht, preside dell’Università del Cairo e personalità vicina ad Al-Sisi, ha criticato di fronte a tutti le posizioni dello stesso grande imam, in quello che è stato vissuto come un grave sgarbo istituzionale.
La querelle riguarda temi molto dibattuti nel mondo islamico ed è destinata a lasciare il segno, anche perché viene da lontano. Già nel 2017 Al-Sisi aveva proposto alle autorità di Al-Azhar, vero faro dottrinale per il mondo sunnita, di abolire il «divorzio verbale» e modificare alcune parti di quello che potremmo chiamare «diritto di famiglia» (sulla dote e sull’eredità, che molto penalizzano le donne), solo per ottenere un secco rifiuto. Non solo: Al-Tayeb aveva colto l’occasione per criticare la situazione sociale in Egitto. E il Consiglio supremo di Al-Azhar aveva rincarato la dose, invitando lo Stato a occuparsi dell’economia e delle cattive condizioni di vita dei cittadini, vera causa dei molti divorzi.
Da allora la discordia è rimasta viva, anche se per lo più sottotraccia. Ma dall’attuale schieramento dei media e degli ambienti vicini al regime è facile prevedere tempi duri per il grande imam. Mentre anche in Egitto si ripropone un paradosso già visto altrove in Medio Oriente: l’autocrate politico che vuole aggiornare l’islam ai tempi moderni, e il conservatore religioso che vuole modernizzare la società.
Perché Babylon
Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.
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Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com