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Israele alle urne, l’effetto Trump

Giorgio Bernardelli
14 febbraio 2020
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Dopo due elezioni andate a vuoto in Israele, al terzo tentativo è probabile che il «piano del secolo» della Casa Bianca per la pace in Terra Santa diventi la base per la formazione di un governo in Israele. Come cambiano le carte in tavola?


Se sia davvero l’«accordo del secolo» sarà la storia a dirlo. Ma un risultato un po’ più prosaico il contestato piano di pace per il Medio Oriente svelato da Donald Trump alla Casa Bianca due settimane fa potrebbe presto ottenerlo: dopo due elezioni andate a vuoto, al terzo tentativo è probabile che diventi la base per la formazione di un governo in Israele.

Si avvicina, infatti, il nuovo appuntamento con le urne, fissato per il 2 marzo. E come da più parti era stato subito previsto l’iniziativa a orologeria di Trump sta avendo un’influenza molto forte nella campagna elettorale israeliana. Non però nella direzione che Benjamin Netanyahu sperava. Sia chiaro: in Israele c’è una lunga tradizione di sondaggi elettorali sbagliati per cui la mano sul fuoco non è davvero il caso di mettercela. Stando però ai numeri che circolano finora l’effetto Bibi non sembrerebbe esserci. L’«accordo del secolo» non sposterebbe in maniera significativa l’opinione degli elettori. Le proiezioni sul voto danno risultati più o meno in linea con l’esito elettorale di settembre: testa a testa fra Blu e Bianco e il Likud con una leggera prevalenza del partito di Gantz, stimata in uno o due seggi di vantaggio a seconda dei sondaggi. Sommando gli alleati anche questa volta nessuno dei due sarebbe in grado di governare senza l’appoggio del partito di Avigdor Lieberman.

Perché allora a giochi fatti le cose dovrebbero andare diversamente? Perché il piano di Trump ha cambiato radicalmente il quadro politico intorno, aprendo una divaricazione profonda nel centro-sinistra. L’ex generale Benny Gantz fin dal primo minuto ha infatti salutato con favore la proposta avanzata dalla Casa Bianca. Avrebbe voluto addirittura cavalcarla portandola in discussione alla Knesset prima delle elezioni, per far emergere i «mal di pancia» dell’estrema destra dove le forze più legate ai coloni sono contrarie allo Stato palestinese anche nella versione extra-ridotta e depotenziata che appare dalle «mappe concettuali» di Trump. Chi invece di questo piano non ne vuole assolutamente sapere è la Lista Araba Unita. E non solo per una questione di solidarietà tra palestinesi; a far scendere sul piede di guerra gli arabi israeliani è anche l’ipotesi del «trasferimento», cioè del passaggio sotto sovranità palestinese del cosiddetto Triangolo, le cittadine in cui in Galilea vivono decine di migliaia di arabi con piena cittadinanza israeliana. Nel piano c’è, infatti, anche questa polpetta avvelenata che va a toccare il nervo scoperto dello status della minoranza araba in Israele, sul quale Gantz è sempre stato molto evasivo.

Vedere il leader di Blu e Bianco salire immediatamente sul carro dei favorevoli a Trump ha mandato su tutte le furie la leadership della Lista Araba Unita che attraverso il suo leader Ayman Odeh gli ha lanciato praticamente un ultimatum. Al quale Gantz ha già risposto dicendo che non saranno parte della sua coalizione. In queste condizioni, dunque, è praticamente impossibile che Odeh ripeta il passo a suo modo storico compiuto a settembre, quando aveva indicato al presidente Reuven Rivlin la disponibilità del suo gruppo ad appoggiare dall’esterno Gantz pur di far cadere Netanyahu. E senza quei voti – anche ammesso che stavolta Lieberman con Netanyahu rinviato a giudizio sia disposto a sostenere Gantz – l’alternativa di centro-sinistra diventa mera illusione aritmetica.

Anche il premier uscente, però, non può cantare vittoria. Sia perché la possibilità di un suo incarico di governo mentre affronta tre processi per corruzione è discussa apertamente dai costituzionalisti israeliani. Sia perché – comunque – l’intransigenza dei coloni più estremisti potrebbe creargli problemi con Washington proprio nel momento in cui Israele ha tra le mani un assist praticamente irripetibile fornito dalla Casa Bianca con questo piano così sbilanciato in suo favore. Ricordiamoci anche che a novembre negli Stati Uniti si vota per le presidenziali; e nella destra israeliana tutti sanno bene che se Trump dovesse perdere l’«accordo del secolo» si trasformerebbe in lettera morta.

Mettendo insieme tutti i pezzi la conclusione è chiara: al di là delle schermaglie elettorali di queste ore c’è una forza di inerzia che porta dritta a un governo di unità nazionale tra Blu e Bianco e il Likud, con Lieberman pronto ad accodarsi. Si discuterà su chi dovrà guidarlo questo governo, ma non sul suo programma: l’annessione della Valle del Giordano e per lo meno dei cosiddetti “blocchi”, cioè gli insediamenti più popolosi che si trovano più vicini alla Linea Verde.

Resta solo una vera incognita: quanto lo spettro dell’attuazione del piano Trump mobiliterà al voto gli arabi israeliani? È la carta su cui punta Ayman Odeh. E potrebbe essere la sorpresa delle prossime elezioni. La Lista Araba Unita puntava già dichiaratamente ai 15 seggi sui 120 della Knesset, cioè due in più rispetto a settembre. Ma se davvero la paura del piano Trump portasse gli arabi israeliani a votare in massa potrebbero anche superare questa soglia. A quel punto Israele sarebbe costretto a fare i conti con una storia completamente nuova. E anche la comunità internazionale non potrebbe più fare finta di non vederli, come ha sempre fatto finora.

Clicca qui per leggere le dichiarazioni di Gantz sulla Lista Araba

Clicca qui per leggere un articolo sull’opposizione dei coloni al piano Trump


 

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A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.

 

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