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A Idlib scocca l’ora della resa dei conti

Fulvio Scaglione
20 febbraio 2020
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Nella provincia di Idlib, in Siria, si fa sempre più probabile uno scontro diretto tra gli eserciti turco e siriano. Idlib è l'ultimo baluardo di gruppi armati che la Turchia ha blandito e foraggiato. Ora non può permettersi di buttarli a mare.


Il momento di uno scontro militare vero tra Turchia e Siria, tra gli eserciti di Recep Tayyip Erdogan e di Bashar al-Assad, sembra di ora in ora più vicino. E la mediazione della Russia, alleata di Assad ma in ottimi rapporti con Erdogan, sembra avere poco effetto. Si sa, Assad vuole riconquistare l’intero territorio siriano e la provincia di Idlib, al confine con la Turchia, è un crocevia importante delle autostrade e delle linee di comunicazione tra i principali centri del Paese. Erdogan che ha coltivato per anni il proposito di sbarazzarsi di Assad e di fatto annettere la parte Nord della Siria, controllando tra l’altro ancor più di quanto già faccia, le principali sorgenti d’acqua di Siria e Iraq, gioca al contrario la carta umanitaria: a Idllib ci sono tre milioni di persone che, al procedere dell’avanzata siriana da Sud, si spostano verso Nord, con l’evidente intento di sfuggire alla guerra e mettersi al sicuro in Turchia.

Per quanto riguarda la Turchia, però, c’è un elemento che viene di solito trascurato. A Idlib resistono circa 15 mila guerriglieri di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), ovvero l’ultima versione di Al Qaeda, supportati da una galassia di gruppi estremisti che comprendono ceceni, miliziani uiguri cinesi e i resti dell’Esercito libero siriano. Tutti sono stati, o sono, al soldo della Turchia che li ha aiutati nei modi più diversi. Con il denaro e con le armi, ovvio. Ma anche comprando il petrolio e i reperti archeologici che questi arraffavano in Siria e, soprattutto, consentendo loro di installare in Turchia uffici, basi, conti correnti, reti di trafficanti di ogni genere e specie.

Tale presenza, in questi nove anni di guerra, si è radicata oltre misura. E quella che nei primi tempi era una concessione, per le autorità turche è ora diventata una necessità. Il ministero del Tesoro americano, per esempio, non fa che sollecitare i turchi a prendere misure più serie contro il riciclaggio di denaro. Gli Usa lo fanno perché attraverso la Turchia anche il Venezuela di Nicolás Maduro e l’Iran di Alì Khamenei sono riusciti a bypassare le sanzioni. Ma nel frattempo hanno dovuto prendere atto che nel 2017 sono passate per i tribunali turchi più di 6 mila persone accusate di riciclaggio e che solo 117 sono state condannate.

In altre parole: per la Turchia, quella che era un’alleanza, un patto d’interessi, è diventata un obbligo. Deve difendere i terroristi assediati a Idlib per non dover subire ritorsioni in casa propria. Erdogan ha pensato di risolvere almeno in parte il problema spedendo un po’ di quei miliziani in Libia, a dar man forte al governo di Al-Sarraj che ormai si è legato mani e piedi alla Turchia. Non osa però abbandonare gli altri. I gruppi islamisti non sono teneri con chi li scontenta o, peggio ancora, “tradisce” la causa. Erdogan lo sa bene. Nel luglio del 2015 un gruppo turco legato all’Isis mandò un kamikaze a farsi esplodere a Suruc, a una decina di chilometri da Kobane, provocando 34 morti. E il primo gennaio del 2017 un attentatore armato entrò in una discoteca di Istanbul, uccidendo 39 persone in una strage poi rivendicata dall’Isis.

Sono solo due esempi. Altri ne potrebbero arrivare se Erdogan decidesse di mollare i terroristi di Idlib al loro destino.


 

Perché Babylon

Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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