(c.l.) – «I nostri agenti sono stati chiamati in una moschea a Beit Safafa dopo la notizia di un incendio doloso scoppiato in una delle sale dell’edificio». Lo ha riferito la polizia israeliana, venerdì 24 gennaio, in una dichiarazione rilanciata dall’agenzia France Presse (Afp).
La moschea al-Badriya è il luogo di culto utilizzato dai musulmani di Beit Safafa e Sharafat, due quartieri palestinesi nella zona meridionale di Gerusalemme est.
L’incendio, che è stato probabilmente appiccato nella notte tra il 23 e il 24 gennaio, ha danneggiato un’aula di preghiera, ma non ha danneggiato il resto della moschea, ha detto un corrispondente dell’Afp. Nessuno è rimasto ferito. Oltre alle fiamme, su un muro esterno della moschea sono comparsi graffiti anti-arabi tracciati con vernice rossa.
«Distruggi [la proprietà degli] ebrei? Kumi Ori distrugge [la proprietà dei] nemici!» recitano le scritte, secondo una traduzione del The Times of Israel. Il Kumi Ori citato è un avamposto israeliano illegale allestito nell’area di Nablus, ai margini dell’insediamento ebraico di Yitzhar nella Cisgiordania.
Gli insediamenti israeliani nella Cisgiordania occupata sono tutti considerati illegali dalla stragrande maggioranza della comunità internazionale. Il governo di Israele, invece, ne considera alcuni legali e altri no. Tra questi ultimi ci sono gli avamposti come Kumi Ori. Proprio lì in questo mese di gennaio, le forze di sicurezza israeliane hanno raso al suolo due abitazioni, dopo che l’Alta Corte ha respinto un’istanza contro la demolizione dell’avamposto.
Segnali di solidarietà
Il ministero palestinese degli Affari religiosi e il Waqf, la fondazione che amministra i luoghi di culto musulmani, hanno condannato l’attacco come «crimine odioso».
Il sindaco di Gerusalemme Moshe Lion, in un comunicato, ha espresso ferma «condanna per il crimine d’odio commesso nel quartiere di Beit Safafa». «Tali atti – ha detto – sono inaccettabili e non possono essere tollerati».
In una dichiarazione di venerdì, pubblicata sulla sua pagina Facebook l’organizzazione Tag Meir – che combatte estremismo, odio e razzismo in Israele e in Cisgiordania – ha ringraziato le centinaia di simpatizzanti che la sera del 25 gennaio sono convenuti per mostrare solidarietà agli abitanti del quartiere che hanno subito l’attacco alla moschea.
In effetti, il giorno dopo l’incendio l’organizzazione ha portato alla moschea un gruppo di 200 ebrei desiderosi di esprimere solidarietà. Secondo The Times of Israel, il gruppo ha anche messo a disposizione una somma denaro più che sufficiente a riparare i danni.
«Abbiamo così voluto manifestare la nostra vergogna e la nostra rabbia per questo crimine spaventoso; ci siamo augurati insieme giorni di pace e fratellanza e abbiamo promesso di rimanere in contatto con gli abitanti del quartiere», ha precisato Tag Meir.
La polizia israeliana ha annunciato l’apertura di un’indagine. Gli arresti dei responsabili di simili azioni in Israele sono molto rari e i gruppi per i diritti civili deplorano che ancora più infrequenti siano le incriminazioni. Il più delle volte le inchieste non producono alcun esito e vengono archiviate.