Anche nelle scorse ore il Libano è stato attraversato da saccheggi e violenze. Negozi incendiati e centri commerciali devastati a Beiruit come a Tripoli, tanto che si teme che la protesta – finora sostanzialmente pacifica – stia prendendo una brutta piega.
Accanto alle violenze di piazza, si registrano però anche arresti arbitrari, maltrattamenti e perfino episodi di tortura ad opera delle forze dell’ordine. La denuncia è arrivata qualche giorno fa da Amnesty International, che ha chiesto all’esercito libanese di porre fine alle azioni repressive nei confronti di coloro che prendono parte alle proteste in corso da sette settimane.
Ad aumentare la tensione, gli scontri a Beirut, tra esponenti dei due movimenti sciiti Hezbollah e Amal e manifestanti anti-governativi, aggrediti a colpi di bastone.
Mentre il Paese brancola ancora nel buio e non sembra trovare via d’uscita alla crisi istituzionale che ha visto le dimissioni del primo ministro Saad Hariri, Hezbollah ha rispolverato la vecchia tesi complottista: il Paese sarebbe nel mirino degli americani, che lo vogliono destabilizzare. L’idea di un complotto di Washington torna ciclicamente: fu un vero e proprio ritornello durante la guerra civile libanese (1975-1990), poi di nuovo nel 2006, nella guerra con Israele. Anche nel caso delle manifestazioni in corso, il partito Hezbollah, alleato dell’Iran, vede dietro la simultaneità delle proteste di piazza in Libano, Iran e Iraq un piano americano-israeliano-saudita per indebolire il fronte sciita attraverso una strategia diversa da quella del confronto militare.
Men che meno Hezbollah sembra intenzionato a lasciare mano libera all’ipotesi di un governo tecnico, oggi incoraggiato dalla comunità internazionale. Quella che sembra una soluzione di buon senso, per il partito sciita è il peggiore dei mali, perché lo costringerebbe ad un ruolo marginale, per nulla affatto incidente.
La piazza libanese, a quanto si è visto, con il suo schierarsi compatta contro il malgoverno e la corruzione, sembra aver respinto al mittente l’idea di un complotto esterno. Tocca ai libanesi risolvere i problemi interni, spiega la società civile con una sola voce, rivedendo se necessario anche gli equilibri interni e scardinando i potentati locali (che si rispondono sempre a qualche interesse esterno). Se la rivolta libanese riuscirà a superare la rivalità Usa-Iran (con le nefaste conseguenze che questo scontro ha e ha avuto in tutta la regione) è ancora da vedere. O piuttosto le aspirazioni di libertà dei libanesi ne resteranno schiacciate ancora una volta?
C’è solo da sperare che il sogno libanese, partorito in una notte di metà ottobre, non si trasformi nell’incubo di una nuova guerra civile segnata da sangue e violenze.