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Nei panni di Yigal

Elisa Pinna
14 novembre 2019
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Nei panni di Yigal

Israele candida agli Oscar un film che divide il Paese e suscita interesse. Il regista torna sull'assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin raccontandolo dal punto di vista dell'omicida.


Mettersi nella testa di chi uccise – il 4 novembre 1995 durante un comizio di piazza a Tel Aviv – il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e, con lui, il processo di pace in Medio Oriente non è facile e può rivelarsi un’impresa rischiosa. Ma è la sfida che ha deciso di affrontare il regista Yaron Zilberman nel suo film Incitement (Istigazione), candidato dall’Accademia israeliana per il cinema e la televisione all’Oscar del 2020, nella categoria per il migliore lungometraggio straniero. Che alle selezioni di Hollywood arrivino film controversi in patria non è certo una novità nella tradizione israeliana. Il ministro della Cultura, Miri Regev, ha già protestato per accostamento che è fatto nell’opera tra il processo di radicalizzazione del killer, Yigal Amir, e i comizi infuocati contro gli accordi di Oslo, a cui partecipava Benjamin Netanyahu, che di lì a poco sarebbe diventato leader del partito Likud e, sei mesi dopo l’assassinio di Rabin, capo del governo, nel primo dei suoi tanti mandati.

Senza dubbio, Incitement (o I giorni dell’orrore, traducendo liberamente il titolo ebraico Yamim Noraim) riapre una delle ferite più gravi inferte alla società israeliana negli ultimi decenni, un trauma che in molti oramai, specie nell’attuale classe dirigente, preferirebbero seppellire per sempre insieme alla questione palestinese.

Nel film tutto è visto con gli occhi dell’assassino Amir, un ebreo di origini yemenite: le prediche rabbiose dei rabbini contro la resa politica di Israele al nemico arabo e il loro chiaro incitamento ad eliminare il traditore; i cortei che chiedono la morte del premier e sventolano cartelli raffiguranti Rabin vestito da nazista o con la kefiah palestinese; i politici della destra nazionalista che fomentano un clima di odio.

Yigal Amir, come ha raccontato lui stesso agli sceneggiatori in quasi cento ore di telefonate dal carcere, si convince, specie parlando con i rabbini più oltranzisti, che eliminare l’uomo responsabile degli accordi di Oslo sia la sua missione religiosa ed esistenziale, un atto necessario per salvare il popolo ebraico e il suo paese. È un delitto di cui non si è mai pentito e che anzi continua a rivendicare dalla cella in cui sta invecchiando, dopo la condanna all’ergastolo nel 1996.

Incitement presenta Amir come una personalità complessa. Il giovane è dominato, oltre che dagli estremisti religiosi, anche dalla figura materna che lo sprona ad un futuro messianico per riscattarsi dalle sue origini yemenite e dalla sua pelle scura, troppo simile a quella degli odiati arabi.

Il regista dice di essersi assunto il rischio di mostrare l’assassino «come un essere umano», anche per comprendere i diversi elementi che lo hanno spinto alla sua azione. Tra questi fattori, osserva, almeno uno è «sotto il nostro controllo per evitare un prossimo omicidio, ed è l’istigazione».

Uscito in Israele ad inizio novembre, in coincidenza con il ventiquattresimo anniversario della morte di Rabin, Incitement attira il pubblico. Nei primi cinque giorni, lo hanno visto 160 mila persone, in un Paese dove i film prodotti localmente spesso vendono meno di 10 mila biglietti. Il killer è interpretato da Yehuda Nahari Halevi, un attore cresciuto nello stesso sobborgo di Amir, alla periferia di Tel Aviv. Di idee opposte a quelle dell’assassino di Rabin, Nahari si mostra però talmente credibile nel ruolo da suscitare empatia nello spettatore, riferiscono i critici cinematografici israeliani piuttosto perplessi sull’intera operazione del regista Zilberman.

Intanto Yigal Amir, dalla sua cella, ha già fatto sapere che il film gli è piaciuto.


Incitement
regia: Yaron Zilberman
scritto da: Yaron Zilberman, Ron Leshem
interpreti: Yehuda Nahari Halevi, Amitay Yaish Ben Ousilio, Anat Ravnitzki
produzione: Israele, 2019
durata: 123 minuti

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