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Magdala, cinquant’anni dopo

Giuseppe Caffulli
15 novembre 2019
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Magdala, cinquant’anni dopo
Magdala, l’area degli scavi archeologici della Custodia di Terra Santa (foto d’archivio)

Nel 1971 iniziavano gli scavi nel sito sulle sponde del Lago di Galilea che ha dato i natali a Maria Maddalena. A quasi mezzo secolo di distanza, l’area archeologica sta per aprire ai pellegrini grazie a un accordo con la diocesi di Vicenza.


«Eravamo ripiombati nella guerra (ottobre 1973). Questa volta l’avevano battezzata come quella del Yom Kippur». Con poche, rapide pennellate, fra Virgilio Corbo, archeologo dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, inizia a raccontare la straordinaria avventura della scoperta di Madgala (La Terra Santa, giugno-luglio 1974, pp. 222-229). La missione archeologica che da anni operava nella vicina Cafarnao si era spinta ad esplorare anche quell’altro angolo di lago. Mentre verso il Golan risalivano convogli militari e i caccia sfrecciavano nel cielo, «un piccolo gruppo di operai continuava a scavare a Magdala». L’attenzione era altrove: «Nessuno perciò si accorgeva che l’unica missione archeologica operante in quel momento in Terra Santa era alle prese con gli strati di terra che coprono Magdala, seppellita da secoli».

Siamo sul Lago di Galilea. I primi scavi a Magdala, in un terreno acquistato dalla Custodia di Terra Santa proprio sulle rive del lago, erano iniziati nel novembre del 1971. Poi una seconda campagna del settembre-ottobre 1973. Tra i risultati più importanti, la scoperta del monastero bizantino, gli edifici della città romana e quella che, fino a qualche anno fa, si riteneva una mini-sinagoga del primo secolo (e che poi si rivelerà, con gli scavi di Stefano De Luca, essere un’area termale).

A poco meno di 50 anni di distanza dall’inizio degli scavi, cosa sappiamo oggi della città? Quale la sua importanza nella Galilea del tempo di Gesù?

Intanto, una precisazione: la tradizione ellenistico-romana indicava la città con il nome di Magdala/Taricheae; nella tradizione onomastica giudaica, il complesso viene invece indicato come Migdal Nunya. I toponimi, sia nella versione greca che giudaica, significano «Torre dei pesci», probabilmente alludendo ad un sistema di essicazione del prodotto della pesca in auge in quel periodo. Un terzo toponimo, Migdal Sebaya, allude all’arte di tingere i tessuti.

«Il sito – scrive Stefano De Luca sul Liber Annuus 2009, pp. 436-453 – risulta intensamente frequentato dal finire del II sec. a.C. al I sec. d.C., vale a dire sotto gli ultimi principi asmonei e la dinastia erodiana. Dal punto di vista urbano sembra esservi un potenziamento nell’edilizia sia pubblica che privata sotto Agrippa II, al cui regno, nel 54 d.C., Nerone aveva annesso Taricheae e il suo distretto amministrativo (Flavio Giuseppe, Bellum Iudaicum II,252; Antiquitates Iudaicae XX,159)». In seguito alla Grande rivolta giudaica (66-67 d.C) il sito subì pesanti distruzioni; attorno al 70 d.C. venne abbandonato, per essere nuovamente abitato solo in epoca bizantina.

Nella cittadina, fiorente al tempo di Gesù, si collocano diversi episodi evangelici. Intanto, spiega fra Virgilio Corbo, vi era nata quella Maria «che Gesù aveva liberata dai sette demoni (cfr Mt 27,55 e Mc 15,9); e da allora era stata sempre designata con l’epiteto di Maria Magdalena o Maddalena».

Avverte però l’archeologo (che lavorava in coppia con il confratello Stanislao Loffreda): «Magdala che gareggiava con la vicina Tiberiade, allora nel suo pieno sviluppo, da secoli è scomparsa; anche al-Magdal, il villaggio arabo che perpetuava la memoria del sito, è scomparso da alcuni anni (con la nascita dello Stato d’Israele), buttato nel mare dai bulldozer. Resta solo il recinto del terreno della Custodia di Terra Santa, dominato da una solitaria torre antica».

Nel corso dei decenni, in verità, le cose sulle rive del lago sono parecchio cambiate, a partire dagli scavi intrapresi nell’area attigua da parte dei Legionari di Cristo, che hanno portato alla luce (questa volta senza ombra di dubbio) un’antica sinagoga e un bassorilievo con un’antichissima rappresentazione della Menorah.

Nell’area di proprietà della Custodia di Terra Santa, dopo molti anni di abbandono, gli scavi sono ripresi nel 2006-2007 grazie all’impegno dello Studium Biblicum Franciscanum (Sbf) di Gerusalemme e di Stefano De Luca in particolare. Quest’ultima campagna di scavi ha comportato uno studio più approfondito del monastero bizantino, nella cui area doveva sorgere anche il santuario dedicato a Maria Maddalena (secondo le fonti letterarie ininterrottamente visitato dai pellegrini fino all’epoca di Riccoldo di Montecroce, nel 1294), ma soprattutto ha portato alla luce l’area portuale «comprendente le fondazioni di una torre a casematte, una muratura asmonea a bozze prominenti, rampe per l’alaggio delle barche, gradini per salire, un bacino intonacato e sei blocchi da ormeggio con foro passante in situ». Insomma, a Magdala si trova il più integro esempio di porto antico fino ad oggi individuato sulle rive del Lago di Galilea» (Liber Annuus, op. cit.).

«La missione archeologica diretta da De Luca – spiega don Gianantonio Urbani, archeologo dell’Sbf – ha condotto anche indagini di archeologia del territorio sulle variazioni climatiche e sulle correnti di superficie e di fondo del Lago di Galilea, che hanno indicato che il luogo scelto per la costruzione del primo molo, databile al periodo asmoneo (II sec. a.C.), rispondeva a esigenze strategiche, per sfruttare al meglio, da parte di imbarcazioni equipaggiate con vela quadra, il circolo dei venti che soffiano sulla superficie dell’acqua. Un certo numero di barche era ormeggiato a Magdala: secondo la testimonianza di Giuseppe Flavio erano circa 230».

Gli scavi di Madgala, che in futuro riserveranno certamente altre sorprese, hanno indubbiamente il grande merito di aver contribuito alla comprensione della vita attorno al lago di Galilea al tempo di Gesù. Ma ci avvicinano in maniera straordinaria anche alla figura di Maria di Magdala.

La tradizione, a causa di una serie di equivoci, l’ha spesso identificata con una prostituta. Maria di Magdala fu invece fedele seguace di Gesù. Durante la Passione vegliò ai piedi della Croce e fu la prima testimone, il mattino di Pasqua, del Signore Risorto, che la chiamò per nome. Per questa particolare forma di predilezione, Papa Francesco, il 3 giugno 2016, ha istituito la festa liturgica di Maria Maddalena.

Come ha spiegato il segretario del dicastero per il Culto divino, l’arcivescovo Arthur Roche, la festa è stata voluta «per significare la rilevanza di questa donna che mostrò un grande amore a Cristo e fu da Cristo tanto amata».


 

Da Vicenza a Magdala
ottanta volontari al servizio dell’area archeologica

Don Raimondo Sinibaldi, responsabile dell’Ufficio Pellegrinaggi di Vicenza e della Fondazione Homo Viator San Teobaldo, ci lavora da tempo. Da quando, qualche anno fa, ricevette una telefonata dall’allora Custode di Terra Santa Pierbattista Pizzaballa, ora amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme: «Mi chiese un aiuto per aprire al pubblico gli scavi di Magdala. Il giorno dopo presi l’aereo per Gerusalemme per vedere cosa potessimo fare. Da allora sono passati quattro anni, ci sono stati intoppi burocratici. Ma ora il sogno è realtà. Siamo pronti a partire».

Partire per dove? Viene da chiedere.

«Abbiamo perfezionato l’accordo tra la diocesi di Vicenza e la Custodia di Terra Santa per la gestione dell’area archeologica. Abbiamo formato un’ottantina di volontari, che si sono resi disponibili a offrire un servizio sulle sponde del Lago di Galilea per permettere ai pellegrini di visitare questo luogo straordinario. L’apertura è prevista il primo febbraio 2020».

Sabato 12 settembre scorso, dalle mani del vescovo di Vicenza, mons. Beniamino Pizziol, i primi trenta volontari partenti hanno ricevuto il mandato. Si recheranno in Terra Santa a gruppi di 4-5, per un mese a testa: «Sono stati formati dal punto di vista storico, geografico e biblico – prosegue don Raimondo –, hanno studiato la figura di Maria Maddalena e delle donne nella Bibbia. Cureranno l’accoglienza e l’animazione dei gruppi di pellegrini all’interno del sito archeologico, in stile francescano. Ma soprattutto dovranno badare a questo aspetto: Magdala non è un sito archeologico “classico”, ma il luogo dove Dio si è manifestato, ha incontrato, si è relazionato con gli uomini. Il fine ultimo della visita è che i nostri ospiti sperimentino il Vangelo».

A don Raimondo, se gli chiedi del Lago di Galilea, brillano gli occhi: «Ai tempi di Gesù nella zona del lago c’erano tutti: ebrei osservanti nella sponda occidentale, ebrei religiosi (sadducei, farisei, scribi) nella sponda sud, a nord-est abbiamo Gamla con gli ebrei zeloti, più a nord c’è l’influenza fenicia. L’azione pubblica di Gesù ha coinvolto tutte le forme di società, di cultura; le lingue, i modi di pensare, di intendere la vita, il corpo e l’aldilà. Magdala, poi, era la città più importante del lago: 40 mila abitanti, grande quasi come Gerusalemme».

Insomma, Magdala racchiude un messaggio per il mondo d’oggi. «Non ho dubbi. Sul Lago di Galilea il Vangelo si manifesta come una Buona Novella per ogni uomo di ogni lingua, cultura e latitudine. E in maniera straordinaria, questo nuova era d’amore, è incarnata da una donna. Maria Maddalena è capace di un amore smisurato, unico. E non a caso è lei che vede per prima il Risorto. In un primo tempo Maria Maddalena scambia Gesù per il giardiniere, quando però lui la chiama per nome, lei lo riconosce come il Signore. Ecco, vogliamo che Magdala sia (meglio, torni ad essere) il luogo dove tanti pellegrini possono fare memoria della chiamata destinata a ciascuno di noi». (g.c.)

Terrasanta 6/2019
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