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Francesco in Giappone, uno spunto per ricordare Sidoti

Giampiero Sandionigi
23 novembre 2019
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Francesco in Giappone, uno spunto per ricordare Sidoti
La ricostruzione del volto di Giovanni Battista Sidoti, effettuata a Tokyo a partire dal cranio rinvenuto nel 2014.

Papa Francesco visita il Giappone e anche noi ci permettiamo una digressione geografica, evocando il missionario e martire palermitano don Giovanni Battista Sidoti. La nostra casa editrice gli ha dedicato un libro. Vogliamo farne memoria anche qui.


Sabato 23 novembre papa Francesco ha lasciato la Thailandia alla volta del Giappone, in quello che è il suo nono viaggio in terre asiatiche. Il 24 a Nagasaki non solo ricorderà il bombardamento atomico del 1945 e indirizzerà al mondo intero un Messaggio sulle armi nucleari, ma farà anche tappa sulla collina di Nishizaka, per rendere omaggio ai 26 martiri cristiani che lì furono messi a morte il 5 febbraio 1597. Erano religiosi giapponesi, come il gesuita Paolo Miki, e missionari stranieri, tra i quali alcuni francescani come lo spagnolo fra Pietro Battista. L’evangelizzazione del Paese del Sol levante era iniziata nel 1549, grazie allo slancio missionario di san Francesco Saverio, uno dei primi membri della Compagnia di Gesù. L’opera dei gesuiti che vennero dopo il Saverio non rimase infruttuosa: nel 1587 i cristiani erano ormai 300 mila e buona parte di loro viveva a Nagasaki. Le autorità civili reagirono ordinando l’espulsione di tutti i missionari e dando avvio alle persecuzioni.

I 26 rappresentati sul monumento di Nagasaki furono i primi martiri in terra giapponese, ma non certo gli ultimi. Sappiamo quanto il Papa sia sensibile al tema del martirio, che continua anche ai giorni nostri, e certamente la sua preghiera in quel momento includerà tutti.

Da Palermo al Giappone

Qui vogliamo ricordare la figura del tutto singolare di un italiano: il palermitano Giovanni Battista Sidoti (in Giappone spesso menzionato con la doppia t nel cognome: Sidotti). Nato nel capoluogo siciliano il 22 agosto 1667, Giovanni Battista seguì le orme del fratello maggiore Filippo, diventando prete nel clero diocesano (in famiglia c’era anche una sorella monaca di clausura). I documenti testificano che a Palermo si laureò in filosofia e in teologia. Poi si trasferì a Roma per conseguire la laurea in utroque iure (vale a dire in diritto civile e diritto canonico). Era insomma un sacerdote dotto ed erudito, che a un certo punto maturò la vocazione di farsi missionario in Estremo Oriente.

Il teologo don Mario Torcivia, anche lui membro del clero palermitano, è tra coloro che oggi meglio conoscono la figura del Sidoti. Ci spiega che a Roma don Giovanni Battista entrò in contatto con gli ambienti dei domenicani e divenne uditore del cardinal Tommaso Maria Ferrari (1649-1716). All’epoca, tra i domenicani e i gesuiti era in corso una diatriba sull’evangelizzazione in contesti ostici come quello giapponese. Era accaduto che, pur di restare nel Paese, alcuni missionari gesuiti fossero giunti al punto di cedere alle pressioni e alle torture delle autorità che li avevano fatti arrestare e di abiurare la fede cattolica. I domenicani consideravano una simile condotta inammissibile per un evangelizzatore. In casi estremi, dicevano, il missionario doveva essere pronto all’effusione del sangue pur di non mettere in ombra la luce del Vangelo e della Chiesa. Don Sidoti doveva pensarla così e volle partire per il Giappone ben consapevole dei rischi e delle difficoltà. Nel Paese del Sol levante vigeva il Sakoku, la politica isolazionista adottata nel periodo Edo, o Tokugawa (durato 250 anni a partire dal 1603). I missionari stranieri erano banditi dall’arcipelago e chi propagandava il cristianesimo poteva essere condannato a morte, come era già accaduto negli anni precedenti a molti battezzati.

Giovanni Battista Sidoti, che aveva cominciato a studiare il giapponese già a Roma, partì con la benedizione del Papa e l’appoggio di Propaganda fide, il dicastero della Curia romana competente per le missioni. La sua era l’impresa solitaria di un prete diocesano senza il sostegno concreto di un ordine religioso o di un istituto missionario alle spalle. La marcia di avvicinamento fu lunga: durò sei anni, quattro dei quali il sacerdote siciliano li trascorse a Manila, dove si preparò al balzo finale verso il Giappone. Nel libro che ha dedicato al suo concittadino, don Torcivia scrive che «nella capitale filippina, Sidoti si fece conoscere e apprezzare per lo spirito di servizio manifestato nei riguardi degli ammalati, dei poveri e dei bimbi cinesi e per l’importantissimo ruolo giocato nella costruzione del primo seminario locale».

Verso il martirio

Nella notte tra il 10 e l’11 ottobre 1708, indossando le fogge del samurai, don Giovanni Battista sbarcò sull’isola giapponese di Yakushima. Ben presto le autorità lo individuarono e arrestarono. Il prigioniero che aveva osato violare clandestinamente le frontiere fu condotto prima a Nagasaki e poi a Edo (l’odierna Tokyo) dove i cristiani erano richiusi in una piccola cittadella e privati della libertà. Ad un certo punto prese parte agli interrogatori di Sidoti uno dei consiglieri dello shogun, il dotto confuciano Hakuseki Arai. Tra i due uomini, prese vita un dialogo fecondo che divenne poi stima reciproca. Il giapponese voleva conoscere tutto del mondo dell’italiano. Si confrontarono su molti temi e misero in comune le loro conoscenze, che sarebbero poi confluite nel testo Notizie sull’Occidente, opera postuma di Hakuseki Arai, pubblicata in Giappone solo nel 1882. La religione continuava comunque a dividere i due: il neo-confuciano non poteva comprendere il suo interlocutore cattolico. Riuscì però ad ottenere per lui l’ergastolo, anziché la condanna a morte.

Le cose precipitarono quando don Sidoti aderì alla richiesta dei due anziani giapponesi che gli erano stati assegnati come guardiani e attendenti. Chôsuke e la moglie Haru si erano convertiti e vollero ricevere, in segreto, il battesimo. Quando entrambi si autodenunciarono alle autorità, la condanna a morte divenne inevitabile. I tre vennero gettati in anguste celle buie scavate nel sottosuolo del campo di prigionia cristiano e lì morirono di inedia. Sidoti spirò il 27 novembre 1714. Il suo corpo fu seppellito, secondo il costume cristiano, e non cremato. Segno evidente che non aveva abiurato, sottolinea don Torcivia. La sua vicenda venne riferita in Europa da mercanti olandesi che avevano regolari e limitati scambi con il Giappone ed ebbe ampia eco anche a Roma.

La riscoperta

Sulla bella isola di Yakushima Sidoti non è mai stato dimenticato e ogni anno lo commemorano il 23 novembre. Una piccola chiesa e un modesto monumento ricordano il suo passaggio. Negli ultimi anni i cattolici giapponesi hanno riscoperto la sua figura grazie a un caso fortuito. Nel 2014 a Tokyo erano in corso i lavori per gettare le fondamenta di un edificio della Mitsubishi nella municipalità di Bunkyo, una delle suddivisioni amministrative della grande metropoli. Lì c’era un tempo la prigione dei cristiani e scavando vennero alla luce delle ossa. Si intuì che avrebbero potuto essere i resti di Giovanni Battista Sidoti e si avviarono degli studi, anche ricorrendo all’esame del Dna. Nel 2016 è giunta la conferma. Tutto ciò ha riacceso la devozione dei fedeli verso il missionario di tre secoli fa. Tra di loro c’è anche il frate minore Mario Canducci, romagnolo che da oltre mezzo secolo vive in Giappone (è lui all’origine di questa nostra digressione geografica verso l’Estremo Oriente).

Fra Mario si è molto adoperato per far apprezzare Sidoti e far sì che si riconosca il suo martirio. La causa di beatificazione avrebbe dovuto essere avviata nella diocesi di Tokyo, dove don Giovanni Battista morì, ma la piccola chiesa giapponese (mezzo milione di fedeli) non ha le risorse adeguate per istruire un processo canonico. È entrata allora in scena la diocesi di Palermo e in particolare proprio il teologo don Mario Torcivia, che ci racconta come è andata fin qui: «Sono stato nominato postulatore il 19 ottobre 2018. Abbiamo fatto richiesta a Tokyo di essere noi parte attrice e loro hanno acconsentito. Anche il Vaticano ha dato l’assenso, così l’8 dicembre 2018 ho presentato il supplice libello all’arcivescovo di Palermo perché si desse avvio alla causa. Il 26 febbraio 2019 abbiamo avuto il nulla osta della Santa Sede e il 7 marzo, si è avviata la fase diocesana della causa con la prima sessione celebrata a Palermo. Nello stesso mese di marzo mi sono recato a Tokyo per fare l’inchiesta rogatoriale, perché ovviamente vanno sentiti anche i testimoni giapponesi, e cercare documenti dell’epoca. Nel febbraio 2020 andrò nuovamente in Giappone e a Manila per proseguire le ricerche. Appena avrò terminato questa fase, consegnerò i documenti che avrò trovato alla commissione storica. Poi potremo concludere la fase diocesana a portare l’incartamento a Roma».

In Giappone don Mario è assistito da fra Mario Canducci e da don Noboru Tanaka, del clero di Tokyo, che ha nominato vicepostulatori. La ricerca di documentazione del Settecento non è semplice e a volte si rivela infruttuosa: «Nel marzo scorso – spiega don Torcivia – sono stato anche a Nagasaki e ho parlato con i gesuiti del luogo, i quali mi hanno detto che lì non ci sono documenti utili. Neppure alla biblioteca della Sophia University ho trovato fonti. In febbraio mi recherò all’Archivio nazionale, a Tokyo, e in varie biblioteche. Negli archivi può darsi che vi siano delle fonti. Mi fermerò anche una settimana a Manila per vedere se negli archivi del seminario, della diocesi o della città si possano trovare documenti inerenti ai quattro anni trascorsi da Sidoti nella capitale delle Filippine».

Il 6 luglio 2019 a Tokyo l’Università Sophia – ateneo dei gesuiti – ha organizzato un simposio in occasione della pubblicazione dell’edizione in giapponese del libro di don Mario Torcivia su Giovanni Battista Sidoti. È stato un momento molto partecipato che aveva per titolo Accostare il mistero di padre Giovanni Battista Sidoti. È quello che ci siamo ripromessi di fare anche noi, oggi qui, con questo modestissimo testo.


Se vuoi saperne di più…

  • Oltre al volume di don Mario Torcivia segnaliamo, qui accanto, anche il libro L’ultimo missionario, uscito precedentemente in Giappone e tradotto in Italia dalle Edizioni Terra Santa.
  • L’emittente televisiva Yakushima Heart TV ha dedicato due bei servizi – in giapponese con sottotitoli in inglese – alla figura di don Giovanni Battista Sidoti e al convegno organizzato il 6 luglio 2019 presso la Sophia University.
  • Sulle vicende dei cristiani giapponesi e dei missionari gesuiti (prima dell’arrivo di Sidoti) sono imperdibili il romanzo Silenzio, scritto nel 1966 dallo scrittore cattolico Shusako Endo, e il film ad esso ispirato realizzato nel 2016 dal regista Martin Scorsese.
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