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L’Europa e i curdi siriani, di cosa vergognarsi

Fulvio Scaglione
15 ottobre 2019
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Per quali ragioni l'Europa dovrebbe davvero arrossire davanti alle operazioni belliche scatenate negli ultimi giorni dalla Turchia nel Nord-Est della Siria.


Che di fronte ai drammi del Medio Oriente l’Europa debba vergognarsi, come ha titolato un grande quotidiano italiano, è indubbio. Meno chiaro, purtroppo, è di che cosa in particolare. Il riferimento più immediato è al dramma dei curdi del Rojava e del Nord-Est della Siria, da molti giorni ormai sottoposti al martellamento spietato dell’esercito turco, e all’inerzia dell’Unione Europea e dei Paesi che la compongono. Molti leader nostrani balbettano di stop alla vendita di armi, come se il regime di Recep Tayyip Erdoğan non avesse già armi più che sufficienti per schiacciare i curdi e non avesse un’industria nazionale degli armamenti in piena fioritura, capace di generare nel 2018 oltre due miliardi di dollari di profitti con le esportazioni. L’unico provvedimento sensato sarebbe (anzi, sarebbe stato) il varo immediato di sanzioni economiche mirate a indebolire la non floridissima economia turca e il consenso interno di Erdoğan, anch’esso in calo di forma se giudichiamo dall’esito delle recenti elezioni amministrative. Cosa che, appunto, l’Europa non fa e non farà.

Basta e avanza per sentirsi a disagio, come europei. Ma è davvero tutto qui? Vergognarsi per vergognarsi, non dovremmo riflettere anche sulla morte di Hevrin Khalaf, la segretaria generale del Partito (curdo) della Siria del futuro, violentata e lapidata a morte dai miliziani filo-Erdoğan mentre viaggiava verso Kobane? Queste milizie non sono nate ieri. Operano da anni in Siria compiendo violenze sui civili, al servizio di quella Turchia che ha tentato in ogni modo non solo di abbattere il regime di Bashar al-Assad ma, peggio ancora, di distruggere la Siria. Sono le “cugine” di quelle che, ad Aleppo, smantellavano gli impianti delle industrie locali e li trasferivano, appunto, in Turchia. Perché per anni sulle loro azioni c’è stato solo silenzio, quando non anche simpatia? Ci siamo accorti solo grazie al sacrificio della Khalaf di che gente si tratta? Quando tutto ciò accadeva (e veniva puntualmente denunciato da alcuni coraggiosi giornalisti turchi, poi costretti all’esilio), dove eravamo noi europei? Eravamo a congratularci per l’accordo stretto con Erdoğan affinché lui, in cambio di sei miliardi di euro, intercettasse e trattenesse i migranti, ecco dov’eravamo.

E ancora. Adesso siamo tutti scandalizzati per come i curdi sono stati di nuovo traditi dai loro “amici” occidentali. Giusto. Ma qualcuno ricorda che i curdi del Rojava sono legati a filo doppio al Partito curdo dei lavoratori (Pkk) che tuttora, sia nella Ue sia negli Usa, è ufficialmente considerato un movimento terroristico? Nessun problema con il fatto che, per combattere i terroristi dell’Isis, ci siamo alleati con altri, i curdi, che sono per i nostri governi anch’essi terroristi? Perché, allora, per combattere l’Isis non ci siamo alleati anche con il libanese Hezbollah, che la Ue peraltro non qualifica come movimento terroristico?

In nome di che cosa pensiamo di poter fare tutto e il contrario di tutto, prendere e mollare questo o quel popolo, appoggiare questo o quello a dispetto delle nostre stesse classificazioni, e sentirci sempre a posto con la coscienza? Arrogandoci il diritto di vergognarci, sì, ma solo quando è comodo e fa fine?

Dietro il dramma dei combattenti curdi e dei civili siriani, c’è una grande lezione per noi occidentali. Il Medio Oriente non si presta alle nostre categorie, al manicheismo con cui pretendiamo di distinguere, e sempre a nostro profitto, il bene dal male. Visto che non riusciamo a fare nulla per i curdi, facciamo almeno qualcosa per noi: teniamolo a mente.


 

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Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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