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In Israele città alla guida del cambiamento

Giorgio Bernardelli
23 ottobre 2019
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La politica resta bloccata a Gerusalemme, ma qualcosa si sta muovendo nelle città. Un fermento che rilancia il problema che sta al cuore della crisi politica che Israele sta vivendo: come tenere insieme oggi i diversi volti del Paese?


Ha gettato la spugna, come ampiamente previsto. Lo ha fatto lunedì sera, due giorni prima dello scadere del termine, tanto era evidente ormai l’impossibilità di concludere un accordo di governo. Stavolta dunque Benjamin Netanyahu ha riconsegnato davvero il suo mandato nelle mani del presidente Reuven Rivlin e senza assi nella manica. In queste ore l’incarico sta passando al suo rivale Benny Gantz, l’ex generale oggi leader del partito Blu e Bianco, che ha preso un seggio in più del Likud alle ultime elezioni, ma non ha comunque al momento sufficienti alleati per formare una maggioranza alla Knesset. Anche per lui, dunque, la strada nei prossimi 28 giorni (il tempo che la legge israeliana prescrive per arrivare a un accordo) sarà in salita (come spieghiamo qui).

Al di là, però, di quello che sarà l’esito di questa crisi di governo c’è un dato forse più interessante oggi da registrare: nello stallo della politica nazionale, tornano a muoversi le città in Israele. A rivelarlo sono due fatti accaduti in queste ultime settimane. Il primo ha a che fare con lo scontro tra laici e religiosi nel mondo ebraico, che è forse il tema più forte che le ultime elezioni hanno lasciato in eredità al Paese. Il sindaco di Tel Aviv, il laburista Ron Huldai, ha deciso infatti di indire una gara per far partire un servizio di autobus pubblici che sia attivo durante lo shabbat. Come molti sanno Tel Aviv non è Gerusalemme: nella giornata del riposo festivo il panorama delle strade è ben diverso dalla calma piatta che si respira nella Città Santa. Però fino ad ora un servizio vero e proprio di autobus pubblici dal tramonto del venerdì fino a quello del sabato anche a Tel Aviv non c’era, come nel resto delle città. L’assenza di un simile servizio – oltre che incomprensibile per i turisti – è fortemente contestata dal mondo laico israeliano, sempre più insofferente di fronte ai diktat dei partiti religiosi ebraici.

Fiutando l’aria, Huldai ha così deciso di forzare la mano, sapendo di poter contare – oltre che sull’appoggio della stragrande maggioranza della popolazione della laica Tel Aviv – anche sulla debolezza di un governo che di fatto non c’è. Questa sua mossa non è rimasta isolata: l’esempio l’hanno seguito anche i sindaci di altre tre città vicine (Ramat Gan, Ramat HaSharon e Givatayim) che stanno facendo partire un servizio pubblico di autobus attivo durante lo shabbat. Si tratta di un segnale piccolo, ma molto importante da un punto di vista simbolico: mentre a Gerusalemme la politica discute all’infinito di equilibri e alchimie per tenere insieme «tribù» tra loro sempre più divise, le città dell’area centrale – quella più popolosa in Israele – vanno avanti per conto loro. Con un fatto compiuto che segna una chiara inversione di tendenza rispetto ad anni in cui i governi Netanyahu hanno costantemente ceduto alle richieste dell’asse formato dai partiti religiosi ebraici e dalla destra nazionalista.

Se questo succede nella grande area metropolitana di Tel Aviv, un altro dato interessante contemporaneamente sta arrivando dalle città del Nord, quelle dove è più folta la presenza delle comunità arabo-israeliane. All’inizio del mese c’è stata una protesta che ha portato in piazza migliaia di persone su un aspetto inedito della questione sicurezza in Israele: la lotta alla criminalità. Gli arabi israeliani accusano la polizia di non fare abbastanza nella lotta al crimine organizzato, che ha inanellato in questi ultimi mesi un numero impressionante di omicidi. Sono arabi che protestano contro bande criminali arabe, in un tipico movimento civico. Ed è proprio qui il segnale importante: chiedono una presenza dello Stato, che accusano di aver abbandonato le loro città. Non a caso tra i sostenitori di questa protesta c’è Ayman Odeh, il leader della Lista Araba Unita, che appare ogni settimana di più deciso a non tenere congelati in un angolo, in una mera funzione di rappresentanza, i 13 seggi ottenuti alla Knesset nelle ultime elezioni.

La politica resta bloccata a Gerusalemme, ancora troppo schiacciata sul tramonto di “re” Bibi. Ma qualcosa si sta muovendo nelle città. Un fermento che rilancia il problema vero che sta al cuore della crisi politica che Israele sta vivendo: come tenere insieme oggi i diversi volti del Paese? Su cosa fondare una nuova sintesi alternativa all’identitarismo che Netanyahu e i suoi alleati hanno perseguito in questi anni? Alla fine, è dalla capacità di rispondere sul serio a questa domanda che dipenderà il futuro di Israele.

Clicca qui per leggere l’articolo sui sindaci pro-autobus durante lo Shabbat

Clicca qui per leggere l’articolo sulle proteste anti-criminalità degli arabi israeliani


 

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A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.

 

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