Tutte le volte che arrivo in Galilea, presso il lago di Tiberiade, e percorro la strada che costeggia il lato occidentale verso Cafarnao, poco prima di Tabgha, mi ricordo del mio primo viaggio, come studente, e delle parole della nostra guida: «“Uscì il seminatore a seminare. Parte del seme cadde lungo la strada, parte sul suolo sassoso, parte tra le spine e parte sul terreno buono” (cfr. Vangelo di Marco 4,3-9). Questo è il paesaggio che avevano davanti agli occhi gli uditori di Gesù. Queste colline, questi campi, queste rocce, questi rovi». È uno dei ricordi più vivi e forti del mio «corso per guide» in Terra Santa. Potevo vedere quello che vedeva Gesù e quello che vedevano i suoi discepoli. In duemila anni non è cambiato molto. Infatti, il lago e le sue rive sono tra i luoghi meno «contaminati» e ascoltando quella parola evangelica potevo vedere lo stesso contesto agricolo nel quale la maggior parte delle parabole è ambientata.
Si va in Terra Santa per vedere quello che vedeva Gesù. Con gli occhi degli apostoli. In quei luoghi, tra quelle colline, immersi nei medesimi paesaggi evangelici, l’immedesimazione con i discepoli, con le folle, con i bisognosi che si rivolgevano a Gesù, risulta più facile.
Tuttavia, questa esperienza, anche se emotivamente forte, non è sufficiente.
Il pellegrinaggio in Terra Santa è occasione per vedere quello che vedeva Gesù ma soprattutto per vedere come vedeva Gesù. Lo sguardo di Gesù è uno sguardo profondo che si posa su ogni categoria di persona con amore e misericordia tali da cambiare il cuore degli uomini. È uno sguardo che costringe al cambiamento di cuore degli apostoli.
Mi ha sempre fatto riflettere l’episodio della vocazione di Matteo. Racconta il primo evangelista che Gesù ritorna a Cafarnao e dopo la guarigione del paralitico, «vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse “seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì» (Mt 9, 9). Come Gesù ha guardato Matteo? E come si è sentito guardare per alzarsi immediatamente e seguirlo? Mi sembra, però, interessante immedesimarsi anche con Pietro e gli altri discepoli. Chissà quante volte Pietro si sarà recato a quel banco delle imposte per pagare le tasse e chissà quante volte avrà guardato con disprezzo Matteo. Era un pubblicano, un peccatore pubblico e certamente, anche se non espresso verbalmente, qualche giudizio negativo, nel momento di pagare, Pietro e gli altri lo avranno sicuramente formulato. Giudizio che inevitabilmente si leggeva sul volto e si percepiva nello sguardo. Ma quel giorno un cambiamento decisivo era chiesto anche allo stesso Pietro. Nel momento in cui Gesù si ferma e guarda Matteo, Pietro, con un pizzico di orgoglio, avrà pensato tra sé: «Povero peccatore! Noi siamo stati scelti dal Maestro, stiamo con Lui giorno e notte. Questo disgraziato è già condannato». E immagino anche la lotta interiore suscitata in Pietro da quell’imperativo di Gesù rivolto a Matteo: «Seguimi». «Maestro ti stai sbagliando! Quest’uomo non può essere dei nostri! È un peccatore, come può seguirti? Non possiamo accoglierlo nel nostro gruppo! Come facciamo?», avrà pensato Pietro.
In effetti la vocazione di Matteo segna una chiamata anche per Pietro e per gli altri. Una conversione del cuore e dello sguardo. Stare con Gesù, seguirlo, implica un cambiamento, a volte doloroso, di prospettiva. Cosa ha visto Gesù in Matteo che Pietro non vedeva? Come lo ha guardato? Che desiderio muoveva Gesù? Pietro e gli altri erano in qualche modo «costretti» ad avere gli stessi sentimenti e lo stesso cuore di Gesù.
Potremmo quindi concludere che si va in Terra Santa per vedere quello che vedeva Gesù ma anche e soprattutto per imparare a vedere come vedeva Gesù.
Il banco di prova che stiamo compiendo un cammino di vera immedesimazione con gli apostoli è il volto dei nostri compagni di pellegrinaggio. Come li guardiamo? Cosa desideriamo per loro?
Non solo. Un altro grande banco di prova è il volto dei fratelli che abitano la Terra Santa. Culture, fedi e tradizioni lontane dalle nostre. Siamo spesso tentati dal giudizio impietoso e dal sottolineare quello che non va, quello che non sopportiamo. Forse è proprio questa una grande occasione per domandarci come Gesù guarda queste diversità, quali sono i Suoi sentimenti nei confronti di questi popoli, cosa desidera per questa gente. Il pellegrinaggio in Terra Santa diventa così una grande occasione per convertire il nostro sguardo e lasciarci educare a vedere come vede Gesù.
(* Commissario di Terra Santa del Nord Italia)
Eco di Terrasanta 4/2019
Nella prigione di Cristo
I Vangeli non ne citano nemmeno una, eppure a Gerusalemme ben tre prigioni si offrono alla devozione dei pellegrini. Quella all’interno del Santo Sepolcro per oltre mille anni è stata anche la più venerata.
Oltre muri e pregiudizi
Il tema del dialogo, nel segno dell’incontro di Francesco d’Assisi con il sultano d’Egitto, farà da filo conduttore del convegno della Conferenza dei commissari di lingua italiana che si terrà dal 21 al 26 ottobre a Milano.