Se si va in Terra Santa al di fuori dei viaggi dall'agenda già fitta e predeterminata, perché non concedersi la possibilità di ascoltare entrambi i punti di vista - palestinese e israeliano - sulla realtà? Ora è possibile, in qualche modo, anche al confine con la Striscia di Gaza.
«Imparerete di più in questa giornata che passeremo insieme che in un intero semestre di storia del Medio Oriente all’Università di Berkeley». Ama presentarsi con questa battuta a chi partecipa ai suoi Dual Narrative Tour Eliyahu McLean. Tour che da qualche settimana si sono arricchiti di una nuova proposta decisamente coraggiosa: portare anche sul confine di Gaza quei turisti che in Medio Oriente vogliono provare a capire la complessità del conflitto. Non per giocare a fare gli inviati di guerra, ma per ascoltare davvero le storie di chi vive da una parte come dall’altra della barricata.
Ebreo ortodosso nato in California nel 1970 e cresciuto alle Hawaii, Eliyahu McLean l’Università di Berkeley la conosce per davvero: figlio di madre ebrea e padre cristiano, il giovane Eliyahu ha studiato lì e proprio in quel contesto ha riscoperto la propria identità religiosa. Mentre studiava la storia del Medio Oriente, però, nella grande università della California ha anche intuito l’importanza delle iniziative in favore del dialogo tra arabi ed ebrei. E anche quando ha deciso di compiere l’aliyah – l’immigrazione di un ebreo in Israele – il dialogo è rimasto la sua stella polare. Così da qualche anno sta provando a farlo sperimentare attraverso i suoi «percorsi guidati con duplice narrativa» (Dual Narrative Tour) anche ai turisti che da tutto il mondo arrivano a Gerusalemme.
Si tratta di un’intuizione importante: troppo spesso, infatti, da fuori si arriva in Terra Santa con una propria idea precostituita. Il più delle volte si tratta di uno schieramento: hanno ragione gli uni oppure gli altri nel lungo conflitto che l’attraversa. La forza della proposta di McLean sta nell’aiutare a cogliere la complessità, le ferite che lacerano entrambi e rendono il cammino verso la pace un percorso impegnativo, ma non per questo impossibile.
Un paio d’anni fa ho partecipato anch’io a uno dei Dual Narrative Tour organizzati da Eliyahu. Raduno nel cuore della moderna Gerusalemme ebraica con destinazione Hebron: mi sono ritrovato in mezzo a una ventina di turisti provenienti da mezzo mondo. Guidati da lui su un normale autobus di linea siamo arrivati nella città della Tomba di Abramo; e a quel punto davvero Eliyahu ci ha portato ad ascoltare il punto di vista di entrambi. La mattina l’abbiamo trascorsa nell’insediamento ebraico nel cuore di Hebron, per capire che cosa significhi per loro questa città. E anche quale trauma sia stato il 1929, con la prima grande strage del conflitto israelo-palestinese: l’assalto della folla araba alle case degli ebrei che nemmeno durante la diaspora avevano lasciato Hebron. Con la follia degli inglesi che pensarono di risolvere il problema bandendo proprio gli ebrei da quella che nella Torah (il Pentateuco, che coincide con i primi cinque libri della Bibbia dei cristiani – ndr) è presentata come la primizia della Terra di Israele. Poi, però, a pranzo Eliyahu ti porta nella casa di una famiglia araba e ti affida a un’altra guida palestinese che ti aspetta oltre il check-point che lui non può attraversare. Così dall’altra parte ascolti l’altro racconto: quello sul modo in cui gli ebrei sono tornati a Hebron dopo il 1967; e su quanto la presenza del loro insediamento nel cuore della città «per ragioni di sicurezza» abbia pesantemente toccato la vita della popolazione palestinese. Vedi così il vecchio mercato forzatamente chiuso, ma anche le reti per proteggersi dalla spazzatura, l’arma del disprezzo che i coloni dall’alto gettano sulla parte araba della città, che fisicamente si trova sotto le loro finestre. Il tutto per finire – ancora con Eliyahu – alla Tomba di Abramo, il patriarca comune. Luogo anch’esso diviso da una barriera che separa gli ebrei e i musulmani che lì salgono a pregare dopo che nel 1994 il colono Baruch Goldstein sparò all’impazzata proprio qui, per vendicare la strage del 1929. Ed è con Eliyahu, quindi, che inizi a capire che solo facendosi carico delle ferite di entrambi è possibile immaginare un futuro diverso per Hebron e per tutta la Terra Santa.
Ora dunque è arrivata anche la proposta su Gaza: ogni lunedì si parte da Gerusalemme e si arriva al valico di Eretz, il check-point che separa il territorio internazionalmente riconosciuto di Israele dalla striscia di Gaza. Lì si tocca con mano che cosa voglia dire il blocco, si parla con i commercianti che vivono lì intorno e si percorre un tratto della barriera fino ad arrivare a una collina da cui fisicamente si riesce a vedere abbastanza bene che cos’è oggi Gaza. È la premessa a un collegamento in video-conferenza (entrare da Eretz con un gruppo di turisti sarebbe impossibile) con alcuni residenti che raccontano tutte le difficoltà della loro vita quotidiana. Ma dopo pranzo ci si sposta a Sderot per ascoltare il racconto di chi vive con l’incubo di vedersi piovere in testa un razzo sparato dalla Striscia. C’è tempo anche per visitare due luoghi della memoria: un kibbutz e un villaggio arabo, entrambi distrutti durante la guerra del 1948, quando tutto è cominciato. Per terminare la visita al progetto Path to Peace del Moshav Netiv Ha’asara, un luogo dove si prova a immaginare la pace anche sul confine tra Israele e la Striscia di Gaza.
Certo, non è la soluzione dei problemi di Gaza, ma aiuta comunque a creare consapevolezza. Fa passare l’idea che un conflitto non va né ignorato né giudicato, ma prima di tutto capito in tutti i suoi risvolti. E anche solo per organizzare i tour mette in comunicazione chi vive dalle due parti della barricata. Di questi tempi in Israele e Palestina non è comunque poco.
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Perché La Porta di Jaffa
A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.