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Libertà religiosa, la rivoluzione di Abu Dhabi

mons. David M. Jaeger *
16 luglio 2019
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Libertà religiosa, la rivoluzione di Abu Dhabi
Abu Dhabi, 4 febbraio 2019. Papa Francesco e il grande imam Ahmed Al-Tayyeb si scambiano il Documento sulla Fratellanza umana appena firmato.

Il documento sulla Fratellanza umana rispecchia acquisizioni maturate tra i cattolici con il concilio ecumenico Vaticano II: tutti gli esseri umani hanno «diritto alla libertà sociale e civile in materia di religione».


«La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano». È con queste parole che, nell’oramai celebre Documento di Abu Dhabi (4 febbraio 2019), il grande imam di Al-Azhar, Ahmed Al-Tayyeb, si associa a papa Francesco nel proclamare il diritto umano alla libertà religiosa. Si tratta di una svolta epocale. L’affermazione, da parte di una delle massime autorità dottrinali dell’islam sunnita, che il diritto alla libertà religiosa è conferito all’essere umano, ad ogni essere umano, da Dio suo Creatore. Così come ha proclamato il concilio ecumenico Vaticano II, nella solenne Dichiarazione Dignitatis humanae.

Non è un passo facile da compiere. Le religioni universaliste, il cristianesimo non meno dell’islam, hanno provato una certa difficoltà a conciliare la libertà religiosa con la loro convinzione fondamentale, di ciascuna, di essere la sola vera religione, la sola via di salvezza positivamente voluta da Dio. Questa è la più intima convinzione del cristiano (cfr Atti degli Apostoli 4, 12: solo in Gesù, e «in nessun altro c’è salvezza»), senza la quale la fede neppure avrebbe senso né, tantomeno, il martirio. Analoga è la convinzione del musulmano credente. E tutti e due, il cristiano e il musulmano sono mossi da tale convinzione a voler fare di tutto per condividere la loro fede, con il resto dell’umanità, per la salvezza di tutti. Ecco perché le loro si chiamano «religioni universaliste», distinte, cioè, da quelle che si credono proprie solo di una certa tribù o nazione.

Da simili premesse procedeva la regola che sarebbe dovere sommo dello Stato fare propria la religione vera e reprimere le altre, e cioè sopprimerle o quantomeno vietarne la diffusione. Sarebbe stata una funzione di salvaguardia della «salute pubblica» e del bene ultimo di ciascuno dei cittadini. Nella cristianità ci sono voluti secoli di guerre di religione, e di riflessione, perché si addivenisse, con il Vaticano II, sotto la guida dello Spirito (Vangelo di Giovanni 16,13) al riconoscimento della «sapiente volontà divina» che gli esseri umani riconoscano la verità liberamente – in conformità della stessa natura dell’essere umano, creato «ad immagine e somiglianza» di Dio (cfr Genesi 1, 26-27), quindi dotato di intelligenza e di libertà; per cui «costringere la gente ad aderire a una certa religione», sia pur essa la religione vera, sarebbe un controsenso. È su questa base che il concilio Vaticano II insegna «il diritto alla libertà sociale e civile in materia di religione», che debba essere garantito a tutti gli esseri umani, che abbiano oramai accolto la Buona Novella o stiano ancora in cammino.

Che i seguaci dell’islam possano ora giungere, anch’essi dall’interno delle loro convinzioni religiose – e non per via di accettazione di «uno stile di civiltà» estraneo – a simile convincimento è sicuramente la base più solida e più promettente per il prosieguo del dialogo così caro al Santo Padre Francesco come lo era al Santo di Assisi, il cui nome egli ha voluto far suo.

(* Francescano di Terra Santa, Roma)

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