Tra due giorni, il 4 luglio, papa Francesco riceverà in Vaticano il presidente russo Vladimir Putin. Dalla Siria alcuni civili del governatorato di Idlib gli chiedono di menzionare all'ospite russo le loro sofferenze.
«Ero forestiero e mi avete accolto. Papa Francesco, non abbiamo più case in cui tornare, sono state distrutte. Lo dica a Putin». È questo il messaggio contenuto in uno dei cartelli in inglese preparati da un gruppo di civili della regione di Idlib, l’ultima area della Siria presidiata dai ribelli antigovernativi e fuori dal controllo di Damasco.
Corredando i loro slogan con passaggi evangelici, alcuni uomini e donne hanno scelto di chiedere al Santo Padre di occuparsi della loro condizione quando riceverà il presidente Vladimir Putin in Vaticano il 4 luglio prossimo. L’incontro tra il leader russo e il Pontefice sarà il terzo dopo quelli del 2013 e del 2015. A questo si deve l’hashtag #TellPutin scelto dal gruppo di siriani per l’iniziativa.
Il ruolo determinante della Russia
Mosca, com’è noto, appoggia con la sua aviazione le forze governative che cingono d’assedio l’area controllata dai ribelli, il cui zoccolo duro jihadista fa capo al cartello di milizie denominato Hayat Tahrir as-Sham. L’intervento dei russi, a partire dal 2015, è stato determinante per mantenere in sella il presidente Bashar al-Assad in un momento in cui l’avanzata dei ribelli e del sedicente Stato Islamico sembrava destinata a rovesciarlo.
Supportato dall’alleato russo, come pure dall’Iran e dagli Hezbollah libanesi, Assad è riuscito invece a non farsi disarcionare, riconquistando una porzione di territorio dopo l’altra fino ad arrivare proprio all’area di Idlib. Una zona che, dato l’evolversi degli eventi, fa da teatro a una doppia tragedia. Da una parte il dramma dei residenti civili, stretti tra il martello dei bombardamenti russo-governativi e l’incudine dei gruppi ribelli più oltranzisti. Dall’altra l’esodo di tre milioni di sfollati interni confluiti nell’area nel corso del conflitto. È il caso dei profughi del campo di Atmeh, dove risiedono 800 mila rifugiati costretti a vivere all’aria aperta in mezzo ad alberi d’ulivo.
La Russia di Putin, inoltre, si è imposta non solo negli equilibri militari, ma anche sotto il profilo diplomatico. Mosca, infatti, è il principale attore – assieme a Turchia e Iran – del terzetto di Astana (Kazakistan): un tavolo negoziale parallelo a quello delle Nazioni Unite che decide le sorti del conflitto almeno a partire dal 2017.
Dialogare con il Cremlino, dunque, è un passaggio imprescindibile, e questo lo sanno perfettamente i civili siriani di Idlib nel loro appellarsi a Bergoglio. «Papa Francesco, i nostri figli vengono ammazzati – recitano altri cartelli –. Lo dica a Putin».
Anche negli ambienti ecclesiastici c’è grande consapevolezza del ruolo di Putin nel decision making relativo al dossier siriano. «Sappiamo bene che la Russia è una Nazione essenziale per la pace» ha dichiarato monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo cattolico di Mosca, commentando l’imminente incontro tra il capo del Cremlino e papa Francesco.
Sotto assedio
Sulla sorte dei civili a Idlib per il momento decide un fragile accordo tra Russia e Turchia, attore regionale che ha cooptato parte dei ribelli anti-Assad del governatorato siriano. Nonostante l’area rientri in una delle cosiddette de-escalation zones, Idlib e il suo hinterland hanno assistito ad un’imponente recrudescenza degli scontri almeno a partire da aprile 2019.
Si tratta dell’ultimo capitolo di una guerra sporca, complicata, che non risparmia neanche obiettivi sensibili come ospedali e scuole. Stando all’ultimo rapporto dell’ong Human Rights Watch, solo tra il 29 aprile e il 6 maggio, almeno 12 strutture sanitarie e 10 istituti scolastici sono stati colpiti da attacchi aerei nella zona. Un bilancio tremendo, ma tutto da aggiornare.
Ad oggi sono passati 8 anni da quando, sull’onda lunga delle «primavere arabe», le piazze assistettero ad un moto di rivolta popolare, sfociato in una guerra civile, trasformatasi a sua volta in un conflitto regionale e internazionale. In queste condizioni, concetti come pace e normalità sembrano ancora lontani, quasi come una luce fioca alla fine di un tunnel di morte e distruzione.
In un contesto simile, dove decine e talvolta centinaia di morti non fanno più notizia, un gruppo di civili spera di trovare in Papa Francesco un interlocutore speciale. Un fratello più grande cui chiedere ascolto.