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Da un papiro nuova luce sui primi cristiani in Egitto

Christophe Lafontaine
26 luglio 2019
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Da un papiro nuova luce sui primi cristiani in Egitto
Un frammento del papiro P.Bas. 2.43. (foto Università di Basilea)

La più antica lettera scritta da un cristiano in Egitto è conservata nel patrimonio documentario dell'Università di Basilea (Svizzera). Recentemente studiata, ci offre informazioni inedite sulle comunità paleocristiane.


La lettera è dell’anno 230 d.C. «È dunque la più antica tra tutte le prove documentali cristiane a noi note dell’Egitto d’epoca romana», spiega un comunicato diffuso dall’Università di Basilea l’11 luglio scorso. L’antico documento fa parte di una collezione di papiri che fanno parte del patrimonio dell’ateneo svizzero da oltre un secolo.

Il documento è stato rivisto e tradotto da Sabine Huebner, docente di Storia antica presso il dipartimento di Antiche civiltà dell’Università affacciata sulla riva sinistra del Reno.

Nel descrivere i quotidiani problemi familiari e amministrativi, il papiro P.Bas. 2.43 fornisce anche informazioni sulla società paleocristiana nell’ambito dell’Impero romano.

Mentre gli storici generalmente descrivono i primi cristiani come una componente sociale marginale o nascosta a causa delle persecuzioni, la lettera contraddice questa versione. Documenta invece che, 1.800 anni fa, i cristiani si erano allontanati dalle città per vivere nell’entroterra egiziano. La lettera testimonia il fatto che l’autore e il suo destinatario provenivano da una famiglia paleocristiana ben istruita, abbiente e con incarichi pubblici alla stregua dei vicini non cristiani. In una parola, appartenevano all’élite.

Nel dettaglio, la missiva è firmata da un uomo di nome Arriano che scrive al fratello Paolo. «Il nome Paolo era estremamente raro a quel tempo e da ciò possiamo dedurre che i genitori menzionati nella lettera fossero cristiani e avessero chiamato il figlio come l’apostolo già nel 200 d.C.», spiega la professoressa Huebner.

Arriano, dopo aver impiegato espressioni affettuose, fa riferimento a un certo Eracleide (senza dubbio un parente) nominato al consiglio della città e chiede al fratello di acquistare due arura di terreno. L’arura era un’unità di superficie utilizzata per misurare la terra nell’antico Egitto, corrispondente a circa 2 mila metri quadrati. Dopo aver trattato gli affari correnti, Arriano chiede a Paolo di inviargli una ricetta di salsa per il pesce, ma solo se suo fratello la considera buona. L’autore conclude la lettera con un’abbreviazione tipicamente cristiana. In effetti, a mo’ di saluto, Arriano fa ricorso a un nome sacro, dice Sabine Huebner. All’espressione «Prego perché tu stia bene», viene aggiunto «nel Signore». Quest’ultima formulazione, scritta in forma abbreviata, «non lascia dubbi sulla fede cristiana dello scrivente», afferma la docente di storia antica. «È una formula esclusivamente cristiana che già conosciamo attraverso i manoscritti del Nuovo Testamento».

Conosciamo la regione in cui visse l’autore della lettera perché sappiamo dove fu trovato il papiro, spiega il comunicato dell’Università di Basilea. Viene da Teadelfia, una città greca nella provincia di Croccodilopoli (l’odierna Fayyum), nell’Alto Egitto.

Nota a margine. Il papiro P.Bas. 2.43 è al centro dell’ultima opera monografica di Sabine Huebner intitolata Papyri and the Social World of the New Testament pubblicata da Cambridge University Press. Il suo libro è rivolto a un vasto pubblico e mostra come i papiri dell’Egitto greco-romano possano aiutare a delineare la vita sociale, politica ed economica dei primi cristiani.

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