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Sorpresa in Israele, si torna a votare in settembre

Giorgio Bernardelli
30 maggio 2019
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Sorpresa in Israele, si torna a votare in settembre
Un tempo alleati. Avigdor Lieberman (a sin.) fa deragliare Benjamin Netanyahu. I due mandano Israele nuovamente alle urne. (foto d'archivio: Yonatan Sindel/Flash90)

Dopo i successi elettorali dello scorso 9 aprile, la strada per il primo ministro Benjamin Netanyahu sembrava spianata. Invece non gli è riuscito di mettere insieme una coalizione di governo. La parola torna agli elettori.


Di nuovo alle elezioni. A meno di due mesi dal voto del 9 aprile, ieri sera la Knesset, il parlamento israeliano, ha votato per il proprio scioglimento: si tornerà al voto il 17 settembre. Immagino la sorpresa della maggior parte dei nostri lettori che hanno giustamente di meglio da fare che seguire le montagne russe della politica israeliana: ma come? Non aveva vinto un’altra volta il primo ministro in carica Benjamin Netanyahu? E allora che cos’è successo?

Una cosa semplice: Netanyahu ha numericamente vinto le elezioni, ma non è stato poi in grado di formare un governo entro i termini stabiliti dalla legge. Perché comunque il suo partito Likud in parlamento poteva contare solo su 35 voti su 120; e la sua strategia politica di puntare tutto su di sé alla fine gli si è ritorta contro. Nel momento in cui è andato a comporre quella che sulla carta era la sua maggioranza ha dovuto fare i conti con i partiti religiosi (mai così forti in termini di seggi alla Knesset) e una vecchia volpe della politica come Avigdor Lieberman (leader di Yisrael Beiteinu, «Israele casa nostra»), che in un contesto del genere si è aggrappato al ruolo dell’anima laica della destra israeliana. Così il governo è caduto prima ancora di cominciare sul tema di sempre: la legge per la fine dell’esenzione degli studenti delle yeshiva (le scuole rabbiniche) dall’arruolamento nell’esercito. Un provvedimento che la società israeliana vorrebbe, ma su cui i partiti religiosi mettono il veto anche alle soluzioni di compromesso.

Di azzardo in azzardo

Per qualche giorno Netanyahu ha pensato che fossero le solite scaramucce e che con l’avvicinarsi della scadenza prevista dalla legge per la formazione del governo tutti sarebbero scesi a più miti consigli. Ma si è sbagliato: Lieberman ha scelto di giocare d’azzardo andando avanti. E così ieri, ultimo giorno utile, si è scatenato il panico nella politica israeliana: Netanyahu ha provato un altro suo grande classico, l’offerta dell’ingresso nel governo ai laburisti al posto del partito di Lieberman. Avrebbe dato loro persino il ministero della Giustizia, delicatissimo visti i tre procedimenti giudiziari per i quali è ufficialmente indagato e i contrasti con la Corte Suprema. Stavolta, però, nemmeno gli ormai debolissimi laburisti hanno accettato di fare da stampella.

A quel punto la legge prevedeva un’altra possibilità: che la palla tornasse al capo dello Stato Reuven Rivlin, che avrebbe provato a dare a qualcun altro l’incarico di formare un governo. Probabilmente avrebbe scelto un altro esponente del Likud per tentare un governo di unità nazionale con l’altro partito maggiore, Blu e Bianco di Benny Gantz. Ma così si sarebbe materializzato l’incubo peggiore per Netanyahu, un governo guidato da un’altra persona. Pur di non arrivare a questo Bibi ha scelto di far suicidare il nuovo parlamento: il Likud ha presentato una mozione per lo scioglimento della Knesset che è stata votata da 74 deputati, quelli del centro-destra e quelli dei partiti arabi. Per cui Rivlin ora non può che rimandare Israele alle elezioni.

Il re è nudo

Si tratta lo stesso di uno smacco pesante per Netanyahu. Per la prima volta «re Bibi» ha perso nel gioco in cui si era sempre rivelato il più scaltro: portare dalla sua parte la maggioranza delle «tribù» in cui è frammentato il quadro politico israeliano. Il livello raggiunto nella giornata di ieri alla Knesset è stato davvero quello dei saldi di fine stagione, con la ricerca disperata di transfughi da imbarcare. Dal punto di vista di Netanyahu, inoltre, le nuove elezioni di settembre sono un grosso guaio per l’intreccio con le questioni giudiziarie: per l’inizio di ottobre è fissato infatti il suo interrogatorio davanti al procuratore generale sulle accuse di corruzione. E a questo punto non potrà ricorrere ad alcun salvagente offerto con provvedimenti ad personam da far passare in parlamento.

L’ultima domanda che resta è la più ovvia: se ad aprile le elezioni sono andate in un certo modo perché a settembre dovrebbero andare diversamente? Una volta buttati via i soldi necessari per una nuova consultazione Israele non si troverà nella stessa identica situazione? Quattro mesi sono comunque lunghi, staremo a vedere. Netanyahu ha già fatto la prima mossa varando la fusione tra il Likud e un altro partito minore che aveva ottenuto 4 seggi nelle ultime elezioni: l’intento è chiaro, distanziare Blu e Bianco, che nell’attuale Knesset aveva 35 seggi come il Likud. Però ha anche già detto che Lieberman ormai è «di sinistra» e di lui non ne vuole più sapere. C’è da stare certi, quindi, che il politico di origine russa farà di tutto per fregiarsi i galloni dell’argine laico ai partiti religiosi, immettendo nella campagna elettorale una frattura che resta apertissima nella società israeliana. Nel frattempo, i partiti arabi che hanno votato a favore dello scioglimento della Knesset sono tornati a parlare di una lista unitaria, una mossa contro il forte calo nell’affluenza alle urne degli arabi israeliani, che è stato un fattore determinante nell’esito del voto di due mesi fa.

Di certo resta un segnale chiaro di malessere nella democrazia israeliana, oggi con le ossa rotte dalla polarizzazione intorno alla propria persona che Netanyahu ha imposto in questi anni. La vicenda Lieberman, in fondo, assomiglia molto alla favola del re nudo. E proprio per questo stavolta per re Bibi potrebbe essere un po’ meno facile voltare ancora una volta pagina.

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