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Le disavventure yemenite dell’avvoltoio Nelson

Laura Silvia Battaglia
8 maggio 2019
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Scambiato per una spia nemica mentre volteggiava sopra la città di Taiz, un giovane avvoltoio è stato tenuto a lungo prigioniero. Fino a che qualcuno si è interessato alla sua sorte e ne ha provato l'innocenza...


In guerra, anche le menti più brillanti perdono di lucidità e uno dei rischi conclamati è che si vedano spie ovunque, anche quando non esistono. È ciò che è accaduto più volte, peraltro, nella guerra in Yemen, dove – escludendo gli innumerevoli e tristi casi in cui civili vengono scambiati per spie, torturati e processati da milizie e tribunali improvvisati – si ritiene che anche i muri abbiano orecchie. E, insieme ai muri, gli animali. Certamente se volatili. La storia del povero avvoltoio Nelson val la pena di essere raccontata.

Nelson è un avvoltoio che fu catturato meno di un anno fa mentre volteggiava sulla città di Taiz, sulla linea del fronte della guerra yemenita. Poiché trovato in possesso di un trasmettitore satellitare attaccato a una zampa, era stato detenuto poiché identificato come spia. Le autorità locali ritenevano infatti che fosse stato spedito, per fini di spionaggio, dal Nord, dai ribelli Houthi che controllano la città di Sana’a. La tecnologia di cui era dotato non era di marca iraniana, come sono tutti i droni che i ribelli del Nord inviano in aree che non sono sotto il loro controllo, ma appariva di gran lunga più sofisticata di ogni altra tecnologia a disposizione nella città di Taiz.

Così il povero Nelson è stato trattato come un detenuto: abbandonato senza cibo, con poche razioni di acqua, legato in un angolo, controllato a vista, spelacchiato e denutrito (pesava ormai meno di 5 chili e non era più in grado di spiccare il volo). Poi, è accaduto il miracolo. Gli yemeniti – che saranno pure in guerra ma hanno una spiccata gentilezza e una certa cura per gli animali, soprattutto nella città di Taiz che per anni è stata sede di uno storico e famoso zoo – si sono interessati alla storia di Nelson, al suo stato di salute e alla sua sorte e hanno iniziato a postare sui social media le immagini dell’avvoltoio. Così, tramite la foto di una targhetta sulla quale era impresso un numero di telefono bulgaro, è stato possibile risalire alla sua vera storia.

Nelson è uno dei 14 giovani rapaci monitorati dalla Fondazione per la flora e la fauna selvatiche in Bulgaria. Proprio la Fondazione lo aveva dotato del sistema satellitare tracciabile per studiare il suo volo che si preannunciava molto lungo, considerato che i giovani grifoni ed avvoltoi maschi, prima di ritornare a casa, volano spesso ad enormi distanze. Il team bulgaro stava studiando ammirato la rotta di Nelson che aveva preso la direzione dell’Arabia Saudita e puntava verso Sud. Ma nel novembre 2018 perse il contatto con il volatile, appena entrato in territorio yemenita. Ed è lì che Nelson, volteggiando sopra la città di Taiz, venne catturato dalle milizie locali.

Adesso è partita la complessa operazione di cura e restituzione di Nelson ai legittimi proprietari. Una volta identificato il volatile, è stato necessario capire chi potesse occuparsene. Si è offerta la One World Actors Animal Rescue, con sede a Sana’a, ma per liberarlo si è resa necessaria una mediazione diplomatica. Come riporta la Bbc, la risoluzione del caso è merito di un uomo, Hisham al-Hoot, il quale ha compiuto un lungo e pericoloso viaggio da Sana’a a Taiz per incontrare il generale Salem presso cui Nelson era detenuto e perorare la causa del volatile per il suo rilascio. Dopo la mediazione, è stato autorizzato a dargli da mangiare in attesa della decisione finale. Nel frattempo, in Bulgaria, la Fondazione provvedeva ad informare l’ambasciata yemenita ed altre pressioni simili sono state esercitate contemporaneamente sulle stesse ambasciate in Francia e in Irlanda. Appena Nelson è stato liberato, Hisham al-Hoot l’ha riportato a Sana’a, dove è stato possibile farlo visitare da un veterinario e dove l’animale è in fase di recupero.

Al momento, il volatile viene nutrito con delle razioni di a carne e acqua ogni ora, in attesa che sia pronto – tra otto settimane al massimo – a riprendere la sua migrazione per tornare indietro verso la Bulgaria. Tutto sommato, gli è andata assai meglio che agli yemeniti, bloccati in un Paese dal quale non si può più migrare e dove 240 mila persone non riescono a trovare cibo e acqua quotidiani, nella crisi umanitaria più catastrofica degli ultimi cento anni.

 


 

Perché Diwan

La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.

Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.

Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen). È corrispondente da Sana’a per varie testate straniere.

Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu). Cura il programma Cous Cous Tv, sulle televisioni nel mondo arabo, per TV2000.

Ha girato, autoprodotto e venduto otto video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).

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