Le donne hanno debuttato nei giorni scorsi tra i vigili del fuoco degli Emirati Arabi Uniti. E le autorità ne sono compiaciute. Ma proprio loro hanno ancora molta strada da fare...
Adesso negli Emirati Arabi Uniti a spegnere gli incendi ci saranno anche le donne. I primi vigili del fuoco donna emiratini si sono diplomati questa settimana a Sharjah, uno degli emirati che compongono l’Unione. Il principe ereditario Mohammad bin Zayed al-Nahyan, per l’occasione, ha accolto il gruppo di donne pompiere nel suo palazzo di Abu Dhabi, affermando che la priorità nazionale degli Emirati è l’emancipazione delle donne. Affermazione non da poco, considerato che la cerimonia fa seguito alle feroci critiche sollevate nei confronti del Paese da parte di gruppi di attivisti e attiviste in favore dell’uguaglianza di genere.
In realtà, gli Emirati Arabi Uniti hanno apposto alcune modifiche alla legge vigente dopo il caso della donna emiratina Hind Albolooki che ha lasciato il Paese l’anno scorso e che in Macedonia aveva registrato un video all’interno di un centro di temporanea detenzione, affermando che la sua vita era in pericolo a causa degli uomini della sua famiglia che non avrebbero voluto accettare la sua volontà di divorzio. La donna, esprimendo il timore di essere rimpatriata e mostrando sui social il suo passaporto emiratino, si appellava alle organizzazioni per i diritti umani, dichiarando che il suo governo non stava facendo abbastanza per proteggere le donne maltrattate, soprattutto le vittime di abusi domestici e familiari.
A questa vicenda, è stato aggiunto il carico da novanta da quando, nel gennaio scorso, gli Emirati Arabi Uniti sono stati criticati per l’assenza di donne durante una cerimonia presieduta dal vicepresidente e governatore di Dubai sheikh Mohammed bin Rashid al-Maktoum, che aveva consegnato dei riconoscimenti a un gruppo di soli uomini, per il contributo fornito agli equilibri di genere nello Stato del Golfo.
Lo sceicco Mohammed, durante la cerimonia per soli uomini, avrebbe detto che “le conquiste delle donne degli Emirati oggi riaffermano la saggia visione del defunto sheikh Zayed bin Sultan al-Nahyan, che credeva nell’importanza del ruolo delle donne e del loro diritto al lavoro, diventando parte attiva della società. Il governatore di Dubai ha poi consegnato le medaglie ai tre uomini che hanno vinto il Gender Balance Index del governo degli Emirati Arabi Uniti per il 2018 in tre categorie: migliore personalità in favore del bilanciamento di genere, migliore autorità federale a sostegno del bilanciamento di genere e migliore iniziativa di equilibrio di genere. Tra i tre vincitori spicca il ministro dell’Interno, il generale sheikh Saif bin Zayed al-Nahyan, che è stato premiato per avere arruolato più donne nelle forze armate degli Emirati Arabi Uniti.
L’assenza di donne in un’iniziativa volta alla promozione delle stesse donne è stata vista dagli utenti dei social media come un grave fallimento, e ha provocato grandi polemiche e ironie, da parte di centinaia di commentatori, polemiche prontamente riportate dalla stampa internazionale.
Joey Ayoub, attivista libanese, ha così twittato in risposta a un post pubblicato sull’account ufficiale del Dubai Media Office: «Sono così delusa che qui non riesco nemmeno a vederci l’ironia». E Rianne Meijer, anche lei su Twitter, ha osservato: «Mi dispiace dover essere io a dirlo, ma avete dimenticato di invitare le donne».
Perché Diwan
La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.
Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.
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Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen). È corrispondente da Sana’a per varie testate straniere.
Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu). Cura il programma Cous Cous Tv, sulle televisioni nel mondo arabo, per TV2000.
Ha girato, autoprodotto e venduto otto video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).