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In Israele il ritorno della musica mizrahi

Alessandra Abbona
30 aprile 2019
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In Israele il ritorno della musica mizrahi
Fermo immagine da un concerto del musicista Dutu Tassa e del suo gruppo.

Una buona fetta della popolazione israeliana è composta da famiglie ebraiche vissute per secoli nelle nazioni musulmane del Nord Africa e Medio Oriente. Alla riscoperta delle loro tradizioni musicali.


In Israele sembra andare di pari passo con la sempre più profonda frattura tra israeliani e palestinesi, la nascita di un fenomeno che si direbbe paradossale. Parliamo della riscoperta della cultura mizrahi, propria degli ebrei di origine nordafricana e mediorientale.

In quel territorio di cultura islamica che va dal Marocco fino all’Iran, la popolazione di fede ebraica ha convissuto con quella musulmana per secoli, intrecciando attività e relazioni, fino alla nascita dello Stato di Israele e alla conseguente ostilità di molti Paesi arabi nei suoi confronti.

Rigettati per Israele

Si calcola fossero oltre 700 mila gli ebrei che tra l’inizio degli anni Cinquanta e gli anni Ottanta del Novecento lasciarono – spesso non di spontanea volontà – le nazioni arabe per immigrare in Israele. Per i mizrahim giunti nella «Terra Promessa» agli inizi non fu facile. Molti vissero a lungo in campi profughi e dovettero comunque misurarsi con il modello egemonico, che era quello di una nazione bianca e askenazita, fatta da pionieri che non capivano quell’ondata di confratelli dalla pelle scura e di lingua araba.

L’integrazione non fu semplice ed episodi venuti alla luce solo di recente ci danno l’idea di quanto fosse discriminante essere dei mizrahim. Negli anni Cinquanta, infatti, centinaia di neonati israeliani furono sottratti con l’inganno alle loro famiglie biologiche (principalmente yemenite e povere) alle quali veniva detto che i loro bambini erano morti alla nascita, per essere poi dati in adozione a famiglie askenazite.

Un mutamento di prospettiva

Oggi però le cose stanno cambiando: la popolazione mizrahi è giunta alla seconda e terza generazione, spesso mescolandosi con ebrei di altra provenienza e dando forma a quel grande melting pot che è lo Stato di Israele. Vi è però un altro paradosso: oggi proprio molti mizrahim si collocano politicamente a destra e sono tra i più insofferenti alla convivenza con i vicini palestinesi.

Si tratta di una storia d’amore e odio, di rivalsa per quanto patito dai mizrahim quando dovettero abbandonare i loro Paesi, i loro beni e la loro esperienza di convivenza millenaria. Quasi per cancellare quel passato doloroso, la maggior parte di essi ha rimosso l’arabo, lingua materna, e le consuetudini così simili a quelle dei palestinesi.

Fortunatamente la galassia mizrahi non è un blocco omogeneo: vi è anche una minoranza giovane e colta che sta riscoprendo il lascito culturale e linguistico delle proprie radici, rivendicando voce e rappresentatività nell’ambito politico, sociale e accademico.

I protagonisti della riscoperta

Alcuni attivisti più politicizzati accusano la classe dominante israeliana di aver marginalizzato per troppo tempo la comunità mizrahi, mentre altri operano una rivendicazione meramente culturale, attraverso la promozione della musica tradizionale.

Tra questi ultimi il nome più noto è quello di Dudu Tassa, straordinario cantautore e chitarrista rock di origini irachene, che vanta collaborazioni con i Radiohead e sta girando il mondo proponendo un repertorio cantato in arabo, attinto al patrimonio musicale del nonno e del prozio, Daoud e Saleh El Kuweiti.

I fratelli El Kuweiti furono i più grandi musicisti iracheni del Ventesimo secolo, autori di composizioni che hanno fatto la storia della musica araba. Emigrati in Israele negli anni Cinquanta, da star che erano, divennero due sconosciuti commercianti che si guadagnarono da vivere nel mercato di Hatikva a Tel Aviv, occultando il loro talento musicale in una dimensione privata. Il nipote Dudu ha convissuto per anni con il loro ingombrante mito, intraprendendo poi, in età adulta, un viaggio alla ricerca delle proprie origini, fino a realizzare due album cantati in arabo – che ha dovuto imparare da zero – contenenti le canzoni originali dei Kuweiti riproposte con sonorità attuali: Dudu Tassa and the Kuweitis e Ala Shawati. Oggi Dudu Tassa sta portando in Europa e negli Stati Uniti il suo ultimo lavoro Al Hajar, che significa «L’esilio» riscuotendo approvazione e complimenti in rete da numerosi fan iracheni e del mondo arabo.

Di stampo più dance sono le A-WA, ovvero Tair, Liron e Tagel Haim, tre sorelle di origine yemenita che hanno ripescato i pezzi tradizionali tramandati dalla nonna, canti d’amore femminili della penisola arabica, e li hanno contaminati con un tocco hip hop ed elettronico. Giovani, graziose e attente al proprio look, si contraddistinguono, oltre che per le loro splendide voci, per un sapiente mix di abiti folcloristici yemeniti, sneakers e outfit di stilisti emergenti. Dopo l’album di debutto nel 2015, Habib Galbi, e vari tour tra America ed Europa, le sorelle Haim hanno rilasciato a fine aprile il loro nuovo lavoro Bayti fi rasi («La tua casa è nella tua testa»), ispirato dalla vita dello loro bisnonna, giunta, senza marito e sola con i figli, dallo Yemen in Israele. Il singolo Hana Mash Hu Al Yaman, ossia «Qui non è lo Yemen» è una canzone dal sapore amaro sulla disillusione di questa donna nel ritrovarsi in quella che credeva essere la Terra del Latte e del Miele, ed invece rivelatasi un luogo difficile, dove ricominciare da zero con grande fatica. Una storia certamente emblematica degli ebrei dei Paesi arabi, simile a quella degli avi iracheni di Dudu Tassa.

Meno trendy, ma di grande sostanza musicale, è Neta Elkayam, di origine marocchina e proveniente da Be’er Sheva. Cantante e musicista, Elkayam canta in darija, l’arabo dialettale parlato in Marocco e imparato dalla nonna. Elkayam ha creato un progetto dedicato alla musica del Maghreb, con melodie andaluse tratte dai repertori di artisti ebrei marocchini e algerini degli anni Quaranta e Cinquanta come Samy El Maghribi, Line Monty e l’ancora vivente Maurice El Medioni, storici beniamini del pubblico magrebino sia musulmano sia ebreo.

Insomma, niente è come sembra in Israele, dove almeno a livello musicale le identità sono multiple, contrastanti, sorprendenti.

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