Come uomo profondamente evangelico, Francesco si oppose a qualsiasi piano violento, sia che fosse promosso dalla società, sia dalla Chiesa del tempo. Francesco offrì un paradigma diverso rispetto a quello tipico del Medioevo, che prevedeva di andare contro i musulmani con la forza delle armi: progettò un viaggio e il suo incontro si basò sulla forza del Vangelo. Francesco andò oltre la spiritualità medievale del martirio per una forma di avvicinamento al mistero di Dio, la testimonianza. Al tempo di Francesco la spiritualità del martirio era estremamente importante poiché il martirio era visto come la garanzia di accesso diretto al Cielo e perciò era desiderato, invocato e talvolta persino provocato. Ricordiamo che il primo motivo che convinse Antonio da Padova a unirsi ai seguaci di Francesco fu il desiderio di vedersi coronato con la palma del martirio, come era accaduto ai martiri in Marocco, i resti dei quali aveva visto a Coimbra. La spiritualità del martirio presenta molti aspetti notevoli che spesso si ritrovano nel pensiero e negli scritti di Francesco: non scoraggiarsi davanti alle difficoltà; la convinzione che Cristo è vittorioso sulla morte e la speranza nella resurrezione; la sconfitta del maligno; la necessaria preparazione al combattimento; l’espiazione del peccato e la salvezza piena; la preghiera per i nemici e il sacrificio eucaristico; il distacco dai beni materiali. Senza dubbio Francesco e i suoi confratelli si sentirono invitati a chiarire e definire una posizione rispetto alla mentalità corrente, facendo una scelta del tutto diversa. Entrando nella casa dell’Islam, Francesco inaugurò un nuovo modo di porsi in relazione, mostrando un’apertura al dialogo, all’ascolto e all’incontro come uniche armi di cui dispone un figlio del Vangelo.
La presenza missionaria dei francescani in mezzo all’Islam affonda le radici in questo incontro di Damietta, una missione caratterizzata da un camminare nel mondo, fra la gente, accostandosi alle persone, annunciando la pace, evitando ogni motivo di discussione o lite, sottomettendosi a ogni creatura, esercitando qualunque tipo di lavoro, purché onesto. Queste caratteristiche vanno preservate anche nella missione considerata particolarmente difficile, quella tra gli «infedeli», e per uno degli uffici più evangelici della fraternità francescana, la predicazione con l’esempio.
Otto secoli dopo è ancora valida la preferenza di san Francesco per le missioni nel mondo musulmano. L’opzione preferenziale dell’Ordine lo fa erede di una bella presenza «con umiltà e grande impegno», che abbraccia realtà e forme di servizio diverse, in ogni continente. L’eredità della presenza missionaria in mezzo all’Islam è innanzitutto una chiamata alla responsabilità per i fratelli di oggi.
A partire da quella prima missione di Francesco, i frati minori misero l’accento sul dialogo interreligioso e in concreto sul dialogo con l’Islam nell’ambito più esteso della missione evangelizzatrice della Chiesa. Questo continua a far parte del nostro carisma di frati minori. Siamo riconoscenti a quei frati che, sull’esempio di Francesco, hanno fatto della semplice presenza, dell’incontro e della testimonianza silenziosa, la prima forma di evangelizzazione ponendo in tal modo le basi per la missione ad gentes, per scoprire che ogni giorno dobbiamo essere disposti a intraprendere cammini inediti di presenza e di testimonianza.
L’incontro tra Francesco e il sultano continua oggi a essere vivo, non solo come modello da seguire, ma anche come incarnazione reale dell’incontro, attraverso i fratelli che vivono in mezzo all’Islam. Voglio raccontarvi alcune mie esperienze.
Gli stivali del vescovo
Ero appena arrivato in Marocco e avevo nella mente tutto ciò che negli anni di formazione avevo imparato sulla teologia e il dialogo interreligioso ed era arrivato il momento di metterlo in pratica. Iniziava il mese sacro del Ramadan e monsignor José Antonio Peteiro, un grande uomo che era allora arcivescovo di Tangeri, mi chiese di accompagnarlo. Guidammo fino al punto in cui terminava la strada e un gruppo di giovani ci aspettava per condurci in un quartiere di baracche, a casa di una famiglia umile che ci attendeva. Eravamo ospiti illustri attesi per rompere il digiuno in quella sera di inizio del Ramadan, con una lampada a gas, una minestra calda, un pane appena fatto sul tavolo messo in un angolo per fermare un’infiltrazione tra le lamiere. Conservo nella memoria l’immagine di quell’incontro domestico, con il mio vescovo, i suoi stivali pieni di fango, il suo grande sorriso sulle labbra.
Il tajine delle condoglianze
Un padre, una madre non muoiono mai del tutto e resta impresso l’istante in cui arriva il momento del cordoglio e la fretta di partire per raggiungere la famiglia per l’ultimo addio a un genitore che non c’è più. Qualche messaggio, alcuni appuntamenti cancellati e un paio di corse per arrivare dai famigliari. Mentre mi trovavo vicino alla mia famiglia di origine, i miei amici marocchini venivano a far visita alla mia famiglia di qui, i miei fratelli francescani, per fare le condoglianze, portando con sé dolci, tajine e cuscus. Al mio ritorno mi fecero di nuovo una sorpresa, con la tavola apparecchiata per condividere il dolore del padre perduto e la stessa speranza. Dopo quaranta giorni, la saqada, la celebrazione di ringraziamento agli amici per le condoglianze ricevute.
Il Ramadan degli amici
Sono molti gli amici musulmani che ci fanno gli auguri in occasione delle feste di Natale e di Pasqua, e sono molti che ci fanno la sorpresa di invitare uno o l’altro di noi frati a condividere la festa del sacrificio o l’iftar nel Ramadan. Ci trovavamo riuniti a casa di un marocchino musulmano per il Ramadan. Nel dialogo sorgevano molte domande sulle loro tradizioni e il senso della celebrazione del mese santo, finché il nostro anfitrione concluse dicendo: «Voglio che sia Manuel a spiegarlo, lo sa dire meglio di me». E curiosamente mi trovavo nella casa di una famiglia marocchina, offrendo quasi una catechesi sul senso penitenziale del mese di Ramadan e l’importanza spirituale per ogni musulmano.
Il pane della strada
Il pane alimento sacro, il pane non si butta e si bacia con rispetto quando lo si ripone in qualsiasi luogo. Osservavo come i bambini di strada lo cercavano come unico alimento all’ingresso del mercato della medina. Con un po’ di vergogna, aprii il cestino e condivisi il mio pane con loro che, con mia sorpresa, mi accompagnarono a casa. Da allora e per molto tempo, mi facevano strada in mezzo al tumulto del mercato aiutandomi a fare la spesa, mentre continuavo a condividere il mio pane con loro.
La preghiera della sera
Un viaggio in treno, godendo un momento di silenzio, di riposo e di meditazione. Un momento di preghiera. Accanto a me, un giovane mi osservava con curiosità cercando di decifrare quello che leggevo e ciò che si disegnava sul mio volto mentre chiudevo gli occhi. Iniziò un dialogo, e con semplicità gli dissi che stavo pregando. Iniziammo a parlare della preghiera. Della sua e della mia, di quella dell’Islam e di quella del cristianesimo, dei suoi desideri, dei suoi progetti di giovane. Giunti alla mia destinazione, mi disse: «Il Signore posi il suo sguardo benevolo su di te e ti doni la sua pace». Ci separammo con una stretta di mano e in quel momento mi sentii benedetto.
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(* missionario in Marocco)
Terrasanta 2/2019
Numero speciale nell'ottavo centenario dell'incontro tra san Francesco d'Assisi e il sultano al-Malik al-Kamil (1219 - 2019)
Ciò che piace al Signore, oggi
Molti oggi sostengono che il dialogo con l’Islam sia impossibile. Invece, l’incontro tra san Francesco e al-Malik al-Kamil testimonia la possibilità di condividere i doni di Dio.
Come Francesco, sognatori di pace
In un mondo in cui ritorna il paradigma dello scontro di civiltà, l’incontro di Damietta ci ricorda quanto sia improvvido l’uso della violenza e illusoria la vittoria ottenuta con la forza.