Siamo nel giugno del 1219, a Damietta, in Egitto. Da un lato l’accampamento crociato che ha posto sotto assedio la città. Dall’altro le truppe del sultano al-Malik al-Kamil. Al campo crociato arriva Francesco d’Assisi, accompagnato da frate Illuminato. Il suo desiderio è di poter annunciare il Vangelo al sultano. Nel campo crociato la cosa è ritenuta impossibile, al punto che il legato pontificio, il cardinal Pelagio, «rispose che, per conto suo, non avrebbe mai dato né licenza né comando in tale senso, perché´ non voleva concedere licenza che si recassero là dove sarebbero stati senz’altro uccisi» (Ernoul 37,1: FF 2231).
Francesco si assume la piena responsabilità della propria scelta. Non chiede di essere mandato, ma semplicemente di essere lasciato andare. Accompagnato da frate Illuminato attraversa le linee di guerra, viene intercettato dalle pattuglie del sultano e portato al suo cospetto.
Ora sono uno di fronte all’altro: Malik al-Kamil, sultano d’Egitto, nato nel 1180 e Francesco d’Assisi nato tra il 1181 e il 1182. Il primo è uno degli uomini più potenti del momento, uno stratega militare formidabile, ma anche una delle menti più aperte alla cultura e alle arti. L’altro è semplicemente un uomo che si è sentito chiamato a seguire le orme di Gesù Cristo, a vivere il Vangelo sine glossa, e ad annunciarlo pacificamente a ogni creatura.
I due dialogano, parlano e si ascoltano. Se nel campo crociato l’incontro era ritenuto impossibile, in quello saraceno viene ritenuto sconveniente. Eppure, il santo e il sultano dialogano. Di cosa avranno parlato? Le narrazioni agiografiche non ci permettono certo di ricostruire le conversazioni precise. Ma la conoscenza di Francesco ci fa supporre che lui abbia raccontato la sua fede in Gesù, il suo modo di intendere l’essere cristiano, l’orizzonte di senso della sua stessa vita contenuto nelle parole semplici e piene di Spirito del Vangelo, il suo desiderio di vivere da pellegrino e forestiero in questo mondo. E molto probabilmente anche il sultano avrà raccontato a Francesco che cosa significava per lui essere un buon musulmano, uno che obbedisce a Dio, prega, digiuna e fa l’elemosina, vive da pellegrino.
Sta di fatto che in un momento di terribile scontro di civiltà quale fu la quinta crociata, Francesco e il sultano al-Malik al-Kamil ebbero la capacità di vivere il dialogo e l’incontro.
Di questo incontro rimangono testimonianze significative nelle fonti crociate dell’epoca, nelle lettere di Giacomo di Vitry, nell’agiografia dell’Ordine, poi nelle arti, in special modo nella pittura. Non rimangono purtroppo testimonianze certe nelle fonti arabe e islamiche del tempo. È come se questo incontro avesse colpito fortemente solo l’immaginario cristiano di allora, senza lasciare traccia in campo musulmano.
Eppure, questo incontro appare grandioso e di una portata storica che va oltre rispetto al tempo in cui avvenne. Lungo questi otto secoli di presenza francescana in Terra Santa, ad esempio, lo spirito di questo incontro è rimasto al sottofondo di una convivenza che si è dimostrata possibile e che ha permesso a noi frati minori di radicarci in un contesto a maggioranza musulmana, evitando l’approccio dello scontro, della polemica e della controversia (salvo qualche caso) e preferendo invece l’approccio della testimonianza della vita. Una testimonianza pacifica, spesso di servizio e di dedizione fino al dono della vita, come durante le epidemie di peste quando i frati soccorrevano chiunque, senza preoccuparsi della propria incolumità.
Ma è soprattutto oggi che questo incontro riemerge con tutto il suo valore simbolico e propositivo, con la sua capacità di proporci di andare contro corrente rispetto a una crescente cultura dell’intolleranza e della contrapposizione. In un tempo come il nostro in cui di nuovo ritorna il paradigma dello scontro di civiltà e la soluzione sembra ancora essere l’uso della forza, l’incontro di Damietta ci ricorda quanto sterile sia l’uso della violenza, quanto illusoria sia la vittoria ottenuta con la forza, quanto fragile sia la pace ottenuta con la sconfitta del nemico.
E ancora di più: nel momento in cui ritorna l’idea della contrapposizione e l’ideologia dell’incompatibilità e dell’incomunicabilità tra culture e religioni diverse, l’incontro di Damietta sta lì a dimostrare il contrario, che solo l’incontro e il dialogo portano frutto a lungo termine. Lo stesso al-Malik al-Kamil, pochi anni dopo, nel 1228, troverà un interlocutore in Federico II, anch’egli uomo che preferiva il negoziato alla battaglia, e potrà concludere con lui una tregua più proficua della guerra.
La capacità di sperare nella possibilità di un incontro e di un dialogo possono anche oggi farci bollare Francesco d’Assisi come un sognatore, un idealista, un ingenuo. Eppure, sono i fatti e la Storia a dargli ragione.
Oggi è compito nostro narrare ancora la storia di quell’incontro e fare in modo che quello spirito permei il nostro vivere in Terra Santa, ma anche la cultura di chi vive in Occidente. Oggi è compito nostro far scoprire anche al mondo musulmano una pagina della sua storia che gli è poco nota, ma davanti alla quale resta stupito nel momento in cui ne viene a conoscenza.
Oggi è compito nostro riproporre questa capacità di sperare nella possibilità dell’incontro e del dialogo e di osare praticarlo negli ambienti quotidiani di vita. Non importa se saremo presi per sognatori, idealisti ed ingenui. Sono proprio i cronisti di otto secoli fa, i cronisti della quinta crociata, a raccontarci chi sia stato più lungimirante, se i comandanti in capo delle schiere armate o l’ingenuo e disarmato Francesco.
—
(* Custode di Terra Santa)
Terrasanta 2/2019
Numero speciale nell'ottavo centenario dell'incontro tra san Francesco d'Assisi e il sultano al-Malik al-Kamil (1219 - 2019)
Ciò che piace al Signore, oggi
Molti oggi sostengono che il dialogo con l’Islam sia impossibile. Invece, l’incontro tra san Francesco e al-Malik al-Kamil testimonia la possibilità di condividere i doni di Dio.
Francesco, pellegrino dell’incontro
A partire dalla prima avventura missionaria di Francesco, i suoi frati hanno posto l’accento sul dialogo tra i credenti. La testimonianza di un missionario. da 25 anni in terra d’Islam.