A che punto è il dialogo interreligioso tra cristiani ed ebrei? Si possono considerare un unico popolo di Dio? È vero che tra cristianesimo ed ebraismo c’è un legame speciale? Sono alcuni degli interrogativi a cui hanno provato a dare risposta in un confronto alla Pontificia Università Gregoriana di Roma il rabbino David Rosen, direttore internazionale degli affari interreligiosi dell’American Jewish Committee (Ajc), e il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (al quale fanno capo anche le relazioni con gli ebrei).
Nell’incontro, moderato il 7 marzo scorso dal prof. Etienne Vetö, direttore del Centro di studi giudaici della Gregoriana, Rosen e Koch hanno discusso alla presenza di trentacinque leader dell’Ajc provenienti da tutto il mondo. La delegazione dell’influente organizzazione ebraica statunitense si trovava a Roma per una visita di diversi giorni, culminata nell’incontro con papa Francesco, che l’ha ricevuta l’8 marzo.
Dopo aver toccato vari temi a carattere teologico (Sacre Scritture, Alleanza, Terra Promessa) i due relatori si sono soffermati sulle sfide da affrontare e ai risultati raggiunti in tanti anni di relazioni interreligiose. Sia il rabbino sia il cardinale hanno convenuto che uno dei più importanti traguardi è stato il documento del 10 dicembre 2015, contenente riflessioni sulle relazioni cattolico-ebraiche in occasione del 50º anniversario della dichiarazione conciliare Nostra aetate, pietra miliare delle relazioni di amicizia con l’ebraismo con il contenuto del suo numero 4.
Un dialogo serrato
Tra i momenti più critici, secondo il rabbino Rosen, c’è un incidente del 2008: «Papa Benedetto XVI, non intenzionalmente, ci deluse nella riformulazione della preghiera del Venerdì Santo che riguarda gli ebrei. Il testo era stato riscritto male, in modo troppo simile alla precedente formulazione problematica». Rosen ha osservato che tutti i malintesi sono stati successivamente chiariti e ha ribadito la sua stima per Benedetto XVI, sostenendo che il dialogo da lui avuto con papa Ratzinger a Gerusalemme è stato «una delle più importanti discussioni teologiche» della sua vita.
«Come possiamo riconciliarci e come possiamo vederci insieme» è una delle sfide fondamentali che cristiani ed ebrei devono affrontare, secondo il cardinal Koch.
Non sono mancati i botta e risposta, come quando rav Rosen ha criticato il modo in cui si definisce il popolo cristiano: «Al posto di definirsi come il nuovo Israele, che suggerisce l’idea di rimpiazzo del popolo ebraico, sarebbe meglio che si descrivesse come un nuovo Israele». «Se dici che la Chiesa cattolica è un nuovo Israele significa che fuori dalla Chiesa potrebbero esserci altri nuovi Israele?» ha ribattuto Koch. Al quale ha fatto nuovamente eco il rabbino: «Se arrivasse qualche nuova religione che riconoscesse la Torah come Divina Rivelazione, sarebbe ugualmente un nuovo Israele». Secondo i due interlocutori la chiave della relazione speciale che lega cristianesimo ed ebraismo è proprio nella condivisione della Torah, considerata da entrambe le parti come Sacra Scrittura.
Con un riferimento geografico e sociologico il cardinal Koch ha annotato che «in Terra Santa sembra che non sempre gli ebrei conoscano il cristianesimo». A questo punto Rosen ha confidato: «Molti credono che io sia un pericolo per la mia comunità perché sto cercando di persuadere gli ebrei che non tutti ci odiano e che i cristiani sono brave persone. Molte persone non riescono a vedere che la loro insicurezza è un riflesso del loro trauma. Siamo storicamente un popolo traumatizzato».
Proprio del pericolo di reiterazione di atti violenti nei confronti del popolo ebraico ha parlato papa Francesco la mattina dell’8 marzo, nel corso dell’udienza privata alla delegazione dell’Ajc. «Penso in particolare – ha detto Bergoglio – alla recrudescenza barbara, in vari Paesi, di attacchi antisemiti. Anche oggi vorrei ribadire che è necessario vigilare nei confronti di tale fenomeno», ha dichiarato il Pontefice, indicando poi come strumento importante in questo senso «il dialogo interreligioso, volto a promuovere l’impegno per la pace, il rispetto reciproco, la tutela della vita, la libertà religiosa, la salvaguardia del creato». Ebrei e cristiani, secondo il Papa, «condividono un ricco patrimonio spirituale, che permette di fare tante buone cose insieme. In un tempo in cui l’Occidente è esposto a un secolarismo spersonalizzante, sta ai credenti cercarsi e collaborare per rendere più visibile l’amore divino per l’umanità».
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