Lanciato il 22 febbraio scorso dalla Florida, il primo modulo spaziale israeliano dovrebbe raggiungere la Luna in aprile. Si chiama come il primo libro della Bibbia: Bereshit, Genesi.
Le cronache israeliane sono dominate dalla campagna elettorale in vista delle elezioni del 9 aprile il cui esito – complici le vicissitudini giudiziarie di Benjamin Netanyahu – stavolta si annuncia quanto mai aperto. Ma nel Paese c’è anche un’altra marcia di avvicinamento che va intrecciandosi con il suo conto alla rovescia, curiosamente destinato a scadere più o meno nelle stesse ore: è l’appuntamento con la Luna di Bereshit, il modulo spaziale made in Israel che – se tutto andrà secondo le previsioni – l’11 aprile dovrebbe andare a posarsi sulla superficie del satellite della Terra.
Grande poco più di una lavatrice, Bereshit è già in orbita: il 22 febbraio scorso è stato lanciato dalla Florida con un razzo di SpaceX, la compagnia di Elon Musk – il patron della Tesla – in questi giorni al centro dei riflettori per il test della navicella Crew Dragon che ha raggiunto la Stazione spaziale internazionale. Attualmente il modulo israeliano sta compiendo le sue ellissi intorno al nostro pianeta e ieri ha inviato dallo spazio il suo primo selfie, con l’immancabile bandiera israeliana e la scritta Am Yisrael Chai («Il popolo d’Israele vive»). Il suo avvicinamento alla Luna sarà più lento rispetto ad altre missioni di questo tipo: per contenere il peso del carburante è stata studiata una traiettoria che massimizza il contributo dei campi gravitazionali della Terra e del suo satellite naturale. Per questo l’intera operazione dovrebbe durare un mese e mezzo.
Ufficialmente si tratta di un’iniziativa privata, promossa dal consorzio SpaceIL finanziato dal filantropo Morris Kahn, il fondatore della versione israeliana delle Pagine Gialle che si è costruito una fortuna con le telecomunicazioni. L’idea era partita nell’ambito del Google Lunar XPrize, una sorta di concorso tra privati sponsorizzato da Google per mandare un robot sulla Luna e da là inviare sulla terra dei video ad alta definizione e delle immagini. Nessuno dei competitor è però riuscito a garantire il lancio entro il termine previsto dalla gara, così il premio è stato annullato. SpaceIL è comunque andato avanti nell’idea e – insieme all’Israel Aerospace Industries (che è di proprietà pubblica) – ha dato corpo all’ambizione di fare di Israele il primo Paese fuori dal club ristretto delle superpotenze in grado di far atterrare un proprio modulo sulla Luna. Al di là del prestigio, la missione ha comunque ovviamente anche un carattere scientifico: in collaborazione con l’Isituto Weizmann, il centro di eccellenza della ricerca israeliana, verranno infatti condotte misurazioni che hanno l’obiettivo di indagare meglio come funziona il campo magnetico lunare.
A dominare però in queste settimane è soprattutto l’orgoglio per questa impresa di «una piccola nazione con grandi sogni». Del resto, il richiamo all’identità ebraica lo si coglie subito dal nome dato al modulo: Bereshit, in ebraico «in principio», è la prima parola della Genesi (che nella Bibbia ebraica corrisponde anche al nome del libro che apre la Torah). Interessante è poi anche il contenuto della «capsula del tempo» che – come avvenuto in altre missioni spaziali – è stata collocata a bordo a futura testimonianza di chi ha spedito quell’oggetto nello spazio: in questo caso contiene una memoria informatica con l’intera versione inglese di Wikipedia, una Bibbia, i disegni di alcuni bambini, le memorie di un sopravvissuto della Shoah, l’inno nazionale israeliano, la bandiera con la stella di Davide e una copia della Dichiarazione di indipendenza letta nel 1948 da David Ben Gurion.
Altrettanto emblematico è infine il video realizzato da SpaceIL per annunciare l’evento: un conto alla rovescia che inizia con i russi, continua con quello americano dell’Apollo 11 di cinquant’anni fa, per poi passare al cinese e concludersi con gli ultimi tre numeri in ebraico. Preludio all’immagine dallo spazio di Ilan Ramon, l’unico astronauta della storia di Israele, figlio di una donna sopravvissuta ad Auschwitz e morto tragicamente nel 2003 durante il rientro sulla Terra nella missione dello Space Shuttle Columbia. Nessuno lo dice apertamente, ma l’avventura di Bereshit è anche un modo per superare quel ricordo in Israele. E poter tornare davvero a sognare la Luna.
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Clicca qui per leggere l’articolo del sito The Times of Israel sulla missione Bereshit
Clicca qui per vedere il trailer sulla missione di Bereshit diffuso da SpaceIL
Clicca qui per leggere sul sito dell’istituto Weizmann le notizie sugli esperimenti che verranno condotti
Perché “La Porta di Jaffa”
A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.