Nel Golfo Persico naviga di tutto: petroliere cariche di oro nero, dirette a rifornire clienti in tutto il mondo; incrociatori, corvette, e corazzate che pattugliano acque di vitale importanza politica ed economica; rapidi motoscafi dediti al contrabbando di beni da immettere sul mercato nero soprattutto iraniano e, in tempi recenti, anche le imponenti navi turistiche da crociera in rotta verso l’Asia.
Fino a qualche giorno fa mancavano i traghetti, quelli che trasportano persone e automobili o camion, e magari, durante la traversata, offrono divertimenti e svaghi per adulti e bambini. Ci ha pensato il Qatar con una nuova linea che collega la propria capitale, Doha, al Kuwait e all’Oman. Un domani, qualora il mercato lo richiedesse, la rotta potrebbe includere anche i porti dell’Iran. Il Grand Ferry, così si chiama la nave-traghetto utilizzata per questo servizio, può ospitare circa 900 passeggeri e 670 automobili. Lunga 145 metri, è un colosso di dieci piani con 270 cabine, ristoranti, bar, spazi giochi per bambini e una piazzola d’atterraggio per elicotteri. È entrata in servizio a inizio febbraio. «Offriamo alle persone la flessibilità di viaggiare con le proprie vetture al seguito e, una volta sbarcate in Oman e in Kuwait, di muoversi in piena libertà», spiega sui media locali Faisal al-Sulaiti, proprietario del Grand Ferry.
Doha in contropiede
Quella che sembra una novità di pubblico servizio e un’opportunità per viaggiatori indipendenti, ha in realtà una valenza politica da non sottovalutare nei delicati e rissosi equilibri tra le petro-monarchie della regione. Dal 2017 infatti, l’Arabia Saudita, a capo dei Paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo, ha rotto le relazioni diplomatiche e imposto un embargo totale (anche di cibo) contro il Qatar. Al blocco si sono prontamente uniti i fedelissimi di Riyadh, ovvero gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein e l’Egitto. Più cauti, invece, l’Oman e il Kuwait. La monarchia del Qatar è accusata dai vicini di appoggiare ogni tipo di fondamentalismo islamico (cosa che in realtà anche i sauditi hanno fatto prima con Al Qaida e poi con l’Isisi) e di intrattenere contemporaneamente rapporti equivoci con l’Iran, storico nemico dei Paesi arabi del Golfo.
Il blocco non ha funzionato e non funziona: il Qatar, che oltretutto ospita una delle più importanti basi militari statunitensi nel Golfo, ha trovato nuovi partner commerciali (la Turchia in primis) ed ha proseguito la sua politica indipendente da Riyadh, costruita negli anni grazie anche all’influenza della sua televisione panaraba Al Jazeera. In questi ultimi mesi ha mediato l’accordo tra Stati Uniti e talebani afghani e sta fungendo da intermediario tra Israele e Hamas a Gaza.
L’embargo quasi non si percepirebbe nella ricca Doha, se non fosse per un dettaglio non trascurabile: che il confine di terra del Qatar corre interamente lungo l’Arabia Saudita. I cittadini del Qatar (il Paese con il reddito pro-capite più alto al mondo) possono viaggiare dove vogliono, ma non andare all’estero in macchina. Fino ad oggi. Perché con il Grand Ferry il problema si avvia ad una soluzione. Aggiungiamo che proprio in queste ultime due settimane la squadra di calcio qatariota ha stracciato prima gli avversari sauditi e poi quelli degli Emirati Arabi Uniti nel campionato della Coppa asiatica ed è facile immaginare l’atmosfera di euforia che si percepisce a Doha e quella carica di ira e risentimento che satura Riyadh.
—
Conosci già il nostro bimestrale? Una rivista da leggere e conservare