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Lager Libia

Giampiero Sandionigi
8 febbraio 2019
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Lager Libia

Pagine per chi non vuole chiudere gli occhi e la coscienza su quanto accade oggi a sud del Mediterraneo, in quel che resta della Libia, base operativa dello schiavismo contemporaneo.


In una vignetta che circolava tempo fa un bimbo chiede al genitore: «Papà, cosa sono i diritti umani?». «Roba per ricchi», replica il padre. La battuta amara sembra fotografare un presente come il nostro, nel quale – come osserva l’avvocato Lorenzo Trucco nel saggio firmato per questo libro – «l’orologio della storia dei diritti umani sta girando in senso antiorario».

Nelle 130 pagine del volume che vi presentiamo si avvicendano avvocati ed operatori nel campo del diritto internazionale che con brevi ed efficaci testi dissolvono la cortina fumogena su quella che è veramente la sorte dei migranti d’Africa ed Asia concentrati in Libia.

Il discorso ruota attorno a una sentenza emessa dalla corte d’assise di Milano, che il 10 ottobre 2017 ha condannato all’ergastolo il somalo Matammud (Mahamud) Osman per violenze sessuali, lesioni, traffico di esseri umani e omicidio come aggravante del sequestro di persona. Reati commessi in Libia sulle carni di migranti africani sequestrati e ricattati nel centro di Bani Walid, un vero e proprio lager gestito dai delinquenti dediti alla tratta.

Giudicando e pronunciandosi «in nome del popolo italiano», i magistrati milanesi consegnarono a quello stesso popolo – a noi che scriviamo e leggiamo – una verità processuale costituita sulla base di testimonianze incrociate ritenute attendibili e solide. E dunque affidate alla nostra coscienza, prima che agli archivi giudiziari e all’indagine degli storici che un giorno, scandagliandoli, analizzeranno questa nostra epoca.

Scrive il giornalista Domenico Quirico nella sua fulminante prefazione al libro: «Che cosa sono i centri di raccolta dei migranti in Libia (ma anche in Niger e altri paesi che stiamo arruolando a suon di milioni, noi europei, come secondini e kapò) lo leggerete nelle pagine che seguono: quei luoghi raccontano, senza possibilità di dubbio, in mille testimonianze scritte e visive, la storia dei migranti, delle loro grame esistenze».

Maurizio Veglio, avvocato e curatore del volume, osserva che la Libia (o ciò che ne resta) è probabilmente oggi l’unico territorio al mondo in cui lo schiavismo è praticato alla luce del sole. E fa una stima delle potenziali vittime: «Le fonti più accreditate indicano il numero di migranti presenti in Libia tra i settecentomila e il milione di persone, perlopiù provenienti dal Corno d’Africa e dai Paesi subsahariani». Persone che di giorno vagano per le strade e di notte si riparano in una sorta di ghetti. Sempre esposte alle angherie di bande di giovani criminali e allo sfruttamento. In molti vengono consegnati ai centri di detenzione gestiti dal Dipartimento anti-immigrazione e a centri di detenzione privati. Centri sovraffollati al punto di non consentire alle persone di sedersi. Luoghi contraddistinti da malnutrizione e da condizioni igieniche pessime che consentono il diffondersi di epidemie; posti nei quali la violenza è linguaggio quotidiano. Lì dentro la detenzione è a tempo indefinito: si viene rilasciati solo dietro il pagamento di un riscatto da parte dei familiari o se “riscattati” da un datore di lavoro o un intermediario libico che così diventa “creditore” del migrante.

L’85 per cento degli immigrati sbarcati in Italia tra il 2014 e il 2017 ha subito atti di tortura in luoghi come questi. Sevizie spesso videoregistrate per essere poi mostrate alle famiglie lontane così da indurle a pagare per salvare il proprio congiunto.

Le risultanze processuali mettono a nudo l’ipocrisia degli accordi italiani ed europei con le autorità libiche che avallano, tollerano, o non sono in grado di contrastare, le efferatezze documentate a danno dei migranti in territorio libico.

Veglio incalza: finanziata e strutturata da Italia e Unione Europea, anche la Guardia costiera libica «finisce sotto indagine del procuratore della Corte penale internazionale per gli attacchi alle navi umanitarie durante le operazioni di soccorso, e viene accusata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di crimini gravissimi, tra i quali sequestri, violenze sessuali e riduzione in schiavitù» (pp. 21s.)

L’avvocato Pierpaolo Rivello è netto: «Così come avvenne nel corso della seconda guerra mondiale, quando cominciarono a essere noti i crimini che avvenivano nei campi di concentramento, l’Europa non può più fingere di “non sapere”, di essere all’oscuro di tale situazione». (p. 43)

Il parallelo con metà Novecento continua: «Chi si è occupato della storia della persecuzione ebraica e dell’Olocausto sa bene che nel corso degli ultimi anni del regime nazifascista molti ebrei cercarono scampo tentando di varcare il confine italo-svizzero, ove peraltro spesso solerti e “zelanti” esecutori della legge operavano il respingimento, ignorando o fingendo di ignorare che in tal modo condannavano a morte centinaia, anzi migliaia di esseri innocenti, “colpevoli” solo di appartenere a una “razza” diversa. La stessa cosa, di fatto, si verifica oggi, a oltre settant’anni dalla verificazione di tali orrori, segno evidente che essi non hanno determinato l’insorgenza di una nuova coscienza, di una solidarietà a livello internazionale nei confronti dei più deboli. Le analogie non finiscono qui. All’epoca gli ebrei vennero descritti come “parassiti della società”, che toglievano lavoro agli “ariani”, fomentando così l’odio nei loro confronti, particolarmente da parte delle classi meno elevate della società tedesca. Tutto ciò si ripete oggi nei confronti dei migranti, in numerose nazioni europee» (p. 47).

Maurizio Veglio (a cura di)
L’attualità del male
La Libia dei Lager è verità processuale
Edizioni SEB27 – Torino 2018
pp. 136 – 16,00 euro

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