Dalle ultime scoperte degli archeologi egiziani viene la conferma dell'aura magica e della considerazione di cui godevano i gatti presso gli antichi egizi.
Saranno contenti gli amici di gatti e gattini, nel sapere che gli archeologi hanno trovato ulteriore conferma della loro aura magica e della considerazione di cui godevano presso gli antichi egizi, grazie a una scoperta recentissima.
La notizia viene dall’Egitto dove un gruppo di studiosi locali ha scoperto sette sarcofagi vicino al Cairo, ai margini del complesso della piramide a gradoni di Saqqara, alcuni risalenti a più di 6 mila anni fa. La comunicazione ufficiale è stata data dal ministro delle antichità Khaled el-Enany che aveva autorizzato la missione, con lavori di scavo iniziati nell’aprile 2018.
In base al ritrovamento, si è stabilito che tre sarcofagi rivenuti nel sito erano stati usati per seppellire i gatti, mentre uno degli altri quattro apparteneva a Khufu-Imhat, sovrintendente degli edifici nel palazzo reale. Non basta: la missione, secondo quanto comunicato da Mostafa Waziri, capo del Supremo consiglio delle antichità egiziane, ha portato alla luce anche le prime mummie di scarabei tipici dell’area. Due di queste mummie di scarabeo sono state trovate anche all’interno di un sarcofago di pietra rettangolare con coperchio a volta, decorato con tre immagini di scarabei dipinti in nero.
La missione ha messo a segno un corposo bottino che segue quelli degli anni precedenti, quando decine di mummie di gatti emersero insieme a cento statue in legno dorato raffiguranti gatti e una in bronzo, dedicata alla dea felina egizia Bastet. Tra le statue in legno provenienti dal sito di Saqqara ne figurano anche altre dorate con forme di leone, di mucca e di falco. Altra particolarità di questo ritrovamento è un certo numero di sarcofagi di legno contenenti anche cobra e coccodrilli. Tutto ciò aprirebbe anche nuove riflessioni e indagini tra gli studiosi, essendo ben noto che i gatti occupavano un posto speciale nell’antico Egitto e che venivano mummificati come offerte religiose, ma non con la stessa incidenza dei rettili.
Le missioni locali hanno scavato finora un certo numero di tombe in tutto l’Egitto, tra cui una sepoltura di 4.400 anni fa sull’altopiano di Giza e un’antica necropoli a Minya, a sud del Cairo. Con queste nuove scoperte, le autorità egiziane sperano in un rilancio dell’industria del turismo, che ha subito un drastico calo dal 2011, anno del rovesciamento del presidente Hosni Mubarak, ed è peggiorato nei successivi anni di incertezze politiche e di nuovo autoritarismo del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Le cifre, del resto, parlano chiaro: prima del 2010, i turisti in Egitto si attestavano intorno ai 14,7 milioni l’anno, mentre nel 2017 i visitatori sono stati 8,3 milioni.
Perché Diwan
La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.
Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.
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Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen). È corrispondente da Sana’a per varie testate straniere.
Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu). Cura il programma Cous Cous Tv, sulle televisioni nel mondo arabo, per TV2000.
Ha girato, autoprodotto e venduto otto video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).