Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Una tenda hi-tech per i profughi

Laura Silvia Battaglia
3 gennaio 2019
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Abeer Seikaly, rinomata artista, designer e produttrice culturale giordano-canadese, ha deciso di metterci testa e cuore, tecnica e professionalità per ideare una tenda innovativa. Che, per ora, resta sulla carta...


In tempi in cui i Paesi europei fanno a gara per respingere dai loro porti navi cariche di richiedenti asilo, e in cui i rifugiati siriani stipati ai confini del Paese, nel periodo di Natale, nuotano letteralmente nel fango causato dalle forti piogge abbattutesi sulla regione, c’è chi avrebbe trovato anche una soluzione operativa ai problemi di migliaia di persone, senza casa e con un rifugio precario sulle loro teste, destinato a diventare il loro unico riparo per mesi e, forse, per anni.

Abeer Seikaly, rinomata architetto, artista, designer e produttrice culturale giordano-canadese, ha deciso che era arrivato il momento di metterci la testa e il cuore, ma soprattutto la tecnica e la professionalità. E si è inventata Weaving a home, un progetto di architettura che utilizza per il suo design un tessuto strutturale unico composto da tubi di plastica ad alta resistenza modellati in curve sinusoidali che possono espandersi e chiudersi in condizioni climatiche diverse. Non solo: i tubi di plastica con cui è strutturata la tenda possono anche essere suddivisi per consentirne una facile mobilità e un ottimo trasporto.

La tenda non ha solo la funzione di riparo: essa può anche raccogliere l’acqua piovana e fornire servizi igienico-sanitari di base come la doccia, poiché l’acqua piovana viene raccolta dalla parte superiore della tenda e filtra lungo i lati fino alle tasche di stoccaggio. La soluzione proposta dalla Seikaly è ideale per le condizioni climatiche di molte aree che ospitano i rifugiati, come Giordania o Libano, che soffrono, nei mesi estivi, di periodiche e consistenti crisi idriche allo stesso modo in cui, d’inverno, diventano inospitali per il freddo e il fango che si sviluppa dopo le piogge torrenziali.

La tenda di Weaving a home, premiata al Lexus Design Award, grazie alla sua progettazione ingegneristica innovativa, può anche assorbire l’energia solare e trasformarla in energia elettrica, che viene immagazzinata in batterie speciali. In questo modo, si eviterebbe di lasciare i campi profughi bui alla sera e si potrebbe utilizzare la produzione di energia solare per le esigenze abitative che vanno dal riscaldamento delle tende in inverno, alla ricarica di elettrodomestici, computer, telefoni cellulari per tutte le stagioni. Il tutto senza dovere usare generatori a gasolio, pericolosi, rumorosi e di non economica manutenzione.

Abeer Seikaly, che nel 2002 ha ricevuto il Bachelor of Architecture and Fine Arts dalla Rhode Island School of Design, fa sapere, però, che il progetto è ancora in fase di sviluppo (dal 2013) perché – dice – «ci sono state delle difficoltà nel trasformare il progetto in un prodotto, assicurando che le capacità di cui ho dotato la tenda, come la raccolta dell’acqua e la raccolta di energia solare, siano incluse».

Il progetto, appena realizzato, sarebbe immediatamente applicabile su larga scala, se solo si volesse. Basta considerare che la necessità di renderlo operativo è urgente e assoluta: dal 2011, la guerra civile siriana ha scatenato uno dei disastri umanitari più devastanti al mondo, con un numero stimato di 13,5 milioni di siriani sfollati internamente o rifugiati fuori dalla Siria, secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite. Senza contare molte altre crisi umanitarie nella regione e sul pianeta: dal Darfur al Congo, dalla Somalia allo Yemen e al Myammar.

 


  

Perché Diwan

La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.

Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.

Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen). È corrispondente da Sana’a per varie testate straniere.

Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu). Cura il programma Cous Cous Tv, sulle televisioni nel mondo arabo, per TV2000.

Ha girato, autoprodotto e venduto otto video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).

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