Gli israeliani andranno alle urne in primavera. Il premier Netanyahu punta a un plebiscito personale. A sfidarlo sarà il generale Benjamin Gantz che, deposta la divisa, ora veste i panni da politico.
L’annuncio è arrivato la vigilia di Natale: Israele andrà alle elezioni il 9 aprile, qualche mese prima della scadenza anticipata della legislatura che sarebbe caduta a novembre. Non è stata una gran sorpresa: le elezioni anticipate erano nell’aria da quando il mese scorso l’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman aveva ritirato l’appoggio del suo partito al governo, lasciando così il premier Benjamin (Bibi) Netanyahu con una maggioranza di appena 61 seggi su 120 alla Knesset. Allora il premier si era sgolato a ripetere che «di fronte alle minacce alla sicurezza nazionale» (leggi la questione dei tunnel di Hezbollah lungo la frontiera settentrionale con il Libano, rivelati pochi giorni dopo) Israele non poteva permettersi il lusso delle elezioni anticipate. Ma alla fine il problema vero era un altro: da dieci anni a questa parte la data delle elezioni l’ha sempre decisa Netanyahu. E così è andata anche stavolta: in sole cinque settimane i gravi motivi che impedivano il voto sono improvvisamente svaniti e adesso Bibi (con la spada di Damocle di un rinvio a giudizio che appare sempre più imminente) ha deciso che non è più un problema accelerare l’appuntamento con le urne.
Fin qui niente di nuovo sotto il sole. Se non fosse che da ieri sulla scena della politica israeliana c’è ufficialmente anche un altro Benjamin a contendere la scena al primo ministro uscente: dopo mesi di voci e sondaggi l’ex capo di stato maggiore della Difesa Benjamin Gantz (che fortunatamente per evitare confusioni come diminutivo si fa chiamare Benny…) ha annunciato di aver ufficialmente registrato il suo partito. Si chiamerà Hosen LeYisrael che nella traduzione ufficiale in inglese significa «Resilienza in Israele» (anche se la cronista politica del Jerusalem Post Lahav Harkov ieri faceva notare che l’Hosen in ebraico è anche il vaccino immunitario, per cui di per sé andrebbe bene anche partito pro-vax…).
Il generale che scende in politica è il grande classico della politica israeliana, basti pensare ai precedenti celebri con Moshe Dayan, Yitzhak Rabin, Ehud Barak ed Ariel Sharon. Non mancano però nemmeno i casi di ex capi di stato maggiore che non sono stati affatto premiati dalle urne. Gantz ha dalla sua un discreto appeal nei sondaggi: prima ancora di ufficializzare il suo partito gli venivano attribuiti tra i 13 e i 16 seggi nella futura Knesset. Non pochi se si considera che l’ex generale non ha ancora detto nulla su quale possa essere il suo programma politico. Di lui gli israeliani ricordano che ha guidato l’esercito negli anni delle due campagne militari a Gaza del 2012 e del 2014, ma è sempre apparso molto più tiepido di Netanyahu rispetto alla minaccia iraniana. Non è certo un uomo di sinistra; però per la sua storia appare molto meno incline a sfidare la comunità internazionale per inseguire il consenso dei coloni. Questi pochi tratti sono bastati a proiettarlo nell’area centrista della politica israeliana, quella che ad ogni elezione fa il pieno di voti ma moltiplica anche i partiti (attualmente ce ne sono già cinque in lizza più o meno su queste stesse posizioni).
Riuscirà il (finora) taciturno Gantz a emergere come il leader capace di unire quest’area e arrivare a impensierire davvero Netanyahu? Probabilmente il giudizio più lucido l’ha dato un’analista navigato come David Horovitz, nella conclusione del suo commento su The Times of Israel: «Se Gantz sarà capace di conservare almeno un po’ dell’aura del capo di stato maggiore, se tesserà astutamente le sue alleanze politiche, se saprà proporsi come un’alternativa meno divisiva per il Paese rispetto al bastonatore della sinistra, al bastonatore dei media, al bastonatore dell’applicazione della legge pressato dai problemi giudiziari che è oggi Netanyahu, allora la campagna elettorale 2019 potrebbe diventare un po’ interessante. Se Gantz dovesse rivelarsi un leader ispirato potrebbe diventare molto interessante. Ma è un discorso fondato davvero su un sacco di se».
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Perché “La Porta di Jaffa”
A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.