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In Marocco l’eredità dei martiri di Tibhirine

Francesco Pistocchini
7 dicembre 2018
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In Marocco l’eredità dei martiri di Tibhirine
Il monaco Jean-Pierre Schumacher davanti ai ritratti dei confratelli trappisti uccisi nel 1996. (foto B. Zanzottera/Parallelozero)

Dedichiamo spazio ai nuovi martiri d'Algeria, beatificati l’8 dicembre 2018 ad Orano. I semi di dialogo che hanno sparso nella seconda metà del Novecento restano vivi.


L’8 dicembre 2018, il cardinal Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi presiederà, nel santuario di Notre-Dame di Santa Cruz, ad Orano, la beatificazione di 19 martiri, uccisi in Algeria nell’ultimo decennio del Novecento. Due dei trappisti scampati all’eccidio degli altri sette membri della comunità, rapiti la notte del 26 marzo 1996 nel monastero di Notre-Dame de l’Atlas, si trasferirono poi in Marocco. Ne abbiamo scritto nel numero di novembre-dicembre 2018 della rivista Terrasanta. Riproponiamo qui alcuni stralci dell’articolo.

***

Entrano uno a uno, lentamente, da una porta laterale della piccola chiesa. I monaci si inginocchiano disposti lungo i lati della navata. La luce della mattina di ottobre entra radente dalle finestre lasciando nella penombra l’arco di pietra che apre lo sguardo sul tabernacolo e l’icona, copia del crocifisso di Tibhirine. La cappella, il monastero stesso sono intitolati a Notre Dame de l’Atlas, come il monastero algerino sui contrafforti dell’Atlante dove viveva fino al 1996 la comunità di monaci cistercensi di stretta osservanza, rimasti fedeli alla propria missione e travolti dalla violenza della guerra civile che ha sconvolto per un decennio il Paese nordafricano.

Ci troviamo nella città di Midelt, sulle alture fra il Medio e l’Alto Atlante marocchino. Qui, nel 2000 ha preso casa la comunità trappista riunita intorno ai due monaci che scamparono fortunosamente al massacro, i cui i responsabili non sono mai stati identificati con certezza.

L’emozione cresce quando entra fra Jean-Pierre Schumacher, l’ultimo monaco di Tibhirine ancora in vita. Avanza con il passo incerto dei suoi 94 anni. Intona la melodia della preghiera. «Je briserai le front des impies, et le front du juste s’élèvera», canta in francese con i confratelli il salmo 74.

Il gruppo di ospiti, venuto dall’Italia, insieme ad alcune suore francesi, si unisce alla recita dell’ora media. Sette volte al giorno la preghiera accompagna la quotidianità dei monaci e ha accompagnato la lunga vita di fra Jean-Pierre. Anche se le forze non gli consentono più come un tempo di dialogare con i tanti visitatori che suonano al portone del monastero, la sua figura fragile emana la forza di una fedeltà totale alla vocazione.
(…)
La guerra che devastò l’Algeria per un decennio prese avvio all’inizio del 1992, dopo il colpo di Stato che annullò le elezioni in cui le forze di opposizione del Fronte islamico di salvezza avevano ottenuto la maggioranza. I gruppi terroristi di matrice islamica e le forze militari e paramilitari legate al governo nel corso degli anni si resero responsabili di almeno 60mila morti, forse 150mila. Diciannove stranieri, appartenenti a diverse famiglie religiose, missionari in una Paese quasi del tutto musulmano condivisero la sorte di tanti algerini. Come scrivono i vescovi annunciando la beatificazione: «Non accettarono di separarsi da coloro in mezzo ai quali avevano donato la loro vita. Sono testimoni di una fraternità senza frontiere, di un amore che non fa differenze».

I monaci di Tibhirine, infatti, erano consapevoli che gli stranieri venivano presi di mira da bande criminali e che le forze di sicurezza non garantivano più protezione, ma decisero di restare. Durante tre anni, dopo la prima visita di uomini armati al convento, vissero momenti tormentati e di intensa preghiera, fino alla scelta convinta di non fuggire.
(…)
Racconta oggi il priore del monastero a Midelt, Jean-Pierre Flachaire, che quando i frati, nelle incertezze del momento dissero a una famiglia algerina: «Siamo come uccelli su un ramo», la donna di casa rispose: «Noi siamo gli uccelli e voi siete il ramo». Era una chiara richiesta di restare, basata sui rapporti di amicizia che erano maturati negli anni. «Poiché non c’è amore più grande che dare la vita per gli amici: i monaci sarebbero partiti – spiega – se gli algerini avessero detto loro che la loro presenza costituiva un pericolo».

La celebre pellicola di Xavier Beauvois, Des hommes et des dieux (Uomini di Dio, 2010) con forza e sobrietà è stata capace di trasmettere al grande pubblico il senso di quella testimonianza, i turbamenti di una scelta difficile. Si diffonde la violenza dopo che l’esercito ha bloccato il processo elettorale del 1991 che avrebbe portato gli islamisti al potere. La lotta fratricida tra potere costituito e islamisti entrati in clandestinità devasta il Paese. I religiosi condividono con gli algerini il rischio di essere bersaglio di una violenza cieca, come francesi potevano partire, ma non l’hanno fatto. Perché?

Fra Jean-Pierre racconta un episodio importante nella vita di Christian de Chergé, il superiore della comunità martire. Fra Christian aveva vissuto da giovane nell’Algeria dominata dalla Francia, al seguito del padre militare e vi era tornato negli anni Cinquanta durante la guerra d’indipendenza. Aveva stretto amicizia con Mohamed, un forestale padre di undici figli. Per l’algerino in quel momento un’amicizia con un francese è pericolosa e riceve minacce di morte. Ma non vi rinuncia e alla fine viene ucciso. Quel rapporto segna a fondo fra Christian, la sua vita religiosa e il legame con l’Algeria musulmana. «Si possono vivere amicizie molto forti, anche fuori dal discorso religioso», osserva il priore.

In Marocco fra Jean-Pierre e fra Amédée (scomparso nel 2008), dopo essere scampati alla strage, hanno continuato la vita religiosa tra i musulmani, eredità vivente («petit reste», come si definivano umilmente) di Tibhirine. L’anziano Jean-Pierre ha assunto su di sé il martirio dei confratelli: «La nostra presenza al monastero – ha raccontato – era un segno di fedeltà al Vangelo, alla Chiesa e alla popolazione algerina. Non volevamo essere martiri, piuttosto segni d’amore e di speranza».

Clicca qui per rileggere l’intensa pagina del testamento spirituale di frère Christian de Chergé

 

 


 

Chi sono i nuovi martiri d’Algeria

L’8 dicembre 2018 nella basilica di Santa Cruz a Orano saranno beatificati diciannove martiri (sedici francesi, due spagnole e un belga). Sono uomini e donne appartenenti a otto diverse famiglie religiose: fra Henri Vergès, marista, e suor Paul-Hélène Saint-Raymond, piccola suora dell’Assunzione, uccisi ad Algeri l’8 maggio 1994; suor Esther Paniagua Alonso e suor Caridad Alvarez Martin, agostiniane missionarie uccise il 23 ottobre 1994 a Babael Oued; i padri bianchi Jean Chevillard, Alain Dieulangard, Charles Deckers e Christian Chessel, uccisi il 27 dicembre 1994 a Tizi-Ouzou; le suore missionarie di Nostra Signora degli Apostoli, Jeanne Littlejohn (suor Angèle-Marie) e Denise Leclercq (suor Bibiane), uccise il 3 settembre 1995; suor Odette Prévost, delle Piccole suore del Sacro Cuore, uccisa ad Algeri il 10 novembre 1995; i sette monaci trappisti di Tibhirine: Christian De Chergé, Luc Dochier, Christophe Lebreton, Michel Fleury, Bruno Lemarchand, Celestin Ringeard, Paul Favre-Miville, rapiti il 26 marzo 1996 e uccisi dopo 56 giorni; monsignor Pierre Claverie, domenicano, vescovo di Orano, ucciso dal suo autista il 1° agosto 1996.

Scrivono i quattro vescovi cattolici dell’Algeria: «La loro morte mette in luce il martirio di tanti, algerini, musulmani, cercatori di senso che, come operatori di pace, sono stati perseguitati per la giustizia, uomini e donne retti nel loro cuore che sono rimasti fedeli fino alla morte durante il decennio nero che ha insanguinato l’Algeria». (f.p.)


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