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In Giordania scambio d’auguri con il re

Christophe Lafontaine
23 dicembre 2018
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In Giordania scambio d’auguri con il re
Al centro il re di Giordania, durante la cerimonia natalizia organizzata al Centro Re Hussein ad Amman il 18 dicembre 2018 (foto abouna.org)

All'insegna del dialogo e dell'armonia interreligiosa gli auguri tra il sovrano hashemita, il presidente palestinese e le autorità religiose cristiane di Gerusalemme.


Un Natale per tutti. Perché «siamo una sola famiglia», ha osservato il 18 dicembre scorso mons. Pierbattista Pizzaballa, l’amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme. È in questo spirito di fratellanza che Abdallah II di Giordania, accompagnato dal figlio primogenito e principe ereditario Hussein, ha partecipato a una cerimonia che ha riunito oltre 500 persone nel centro culturale Re Hussein ad Amman. Organizzata sull’arco di due giornate dalle Chiese cristiane in Giordania in occasione delle festività natalizie e di capodanno, la celebrazione ha avuto come tema lo slogan Giordania, terra dell’amicizia, terra della fede.

Se l’islam è religione di Stato in Giordania, è davanti ai leader cristiani di Terra Santa che il sovrano ha espresso i suoi migliori auguri per queste festività natalizie ai giordani, ai palestinesi e a tutti i gli arabi cristiani. Ricordiamo che nel 1999, volendo preservare il tessuto sociale del Regno, che conta circa il 6 per cento dei cristiani, il giovane re, salendo al trono, dichiarò che il Natale era per tutti, musulmani e cristiani. Nel Paese le banche chiudono per Natale e i lavoratori cristiani beneficiano di un giorno libero.

Come segno di unità tra le due sponde del fiume Giordano, a questo evento hanno partecipato anche il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e rappresentanti del Waqf di Gerusalemme, la fondazione islamica che gestisce la Spianata delle Moschee, sotto la supervisione giordana.

I canti natalizi eseguiti dal coro cattolico giordano La Fontaine d’Amour hanno intervallato i discorsi ufficiali che, secondo un comunicato del Palazzo reale, hanno sottolineato che «il Natale è un’occasione per celebrare la pace e l’amore e per promuovere importanza del vivere in armonia».

Un aspetto, quello dell’armonia, a cui è molto affezionato il re di Giordania, la cui famiglia sostiene di discendere da Hashim, il bisnonno del profeta Maometto. Al timone di un piccolo regno nel mezzo di grandi conflitti regionali, Abdallah II non si risparmia per continuare a rendere il suo Regno «una pietra angolare della stabilità della regione», mantenendo un clima favorevole per il rispetto reciproco tra le diverse religioni, come gli ha riconosciuto anche mons. Pizzaballa.

Non a caso il lavoro del sovrano giordano per promuovere un islam pacifico e moderato nella regione e porre fine alla violenza religiosa in Medio Oriente è stato premiato a novembre con il Premio Templeton 2018, riconosciuto al re per le sue azioni nella comprensione interreligiosa. La Fondazione John Templeton sottolinea che Abdallah II ha «fatto più di altri leader politici per l’armonia nell’islam, e tra l’islam e le altre religioni». Va notato che il monarca ha deciso di devolvere una parte della dotazione legata al premio (che ammonta a circa un milione e mezzo di euro) ai restauri della basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme.

Il riconoscimento conferito al re è stato caldamente elogiato dai due più alti rappresentanti delle Chiese cristiane in Terra Santa: il patriarca greco-ortodosso Theophilos III, il cui intervento è stato letto dall’arcivescovo di Amman e l’amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, mons. Pizzaballa. Quest’ultimo non ha esitato a sottolineare «la bellezza della convivenza religiosa e dialoghi fruttuosi che avvicinano sempre più tutte le comunità» in Giordania, facendo riferimento anche allo spirito del Messaggio di Amman, elaborato nel 2004 per cercare di chiarire la vera natura dell’islam e invitare tutte le nazioni musulmane a promuovere i diritti umani e le libertà fondamentali.

Se il tempo di Natale è propizio per gli auguri e gli auspici, e gli occhi, naturalmente, sono rivolti a Betlemme, è a Gerusalemme, che è andato il pensiero di tutti. L’amministratore apostolico della Chiesa cattolica latina di Gerusalemme e il patriarca greco-ortodosso Teofilo III non hanno taciuto le loro inquietudini riguardo ai cristiani di Gerusalemme e ai tentativi israeliani che potrebbero minacciare il futuro delle proprietà ecclesiastiche sul versante fiscale e diritti di proprietà. «Purtroppo – ha lamentato l’arcivescovo Pizzaballa – negli ultimi mesi, abbiamo dovuto far sentire la nostra voce in diverse occasioni al fine di garantire la libertà e il rispetto delle nostre istituzioni, e, talvolta, giungere ad iniziative estreme come la serrata del Santo Sepolcro». Un punto di vista condiviso dalla Chiesa greco-ortodossa che menziona la sofferenza di una comunità che deve far fronte ad atti di vandalismo perpetrati da estremisti ebrei contro le chiese: sarebbero una cinquantina i luoghi di culto «incendiati o distrutto» a partire dal 1967. Il patriarca greco-ortodosso ha anche messo in guardia dai «pericoli derivanti dagli insegnamenti e dalle posizioni eretiche di alcuni gruppi che parlano in nome del cristianesimo». Nel mirino i gruppi evangelici che «adottano credenze e insegnamenti che non potrebbero essere più lontani da Cristo e dai suoi insegnamenti» e che secondo il patriarca falsificano la storia.

Per tutti questi motivi, i due leader cristiani incoraggiano il re a portare le voci dei cristiani e dei musulmani nei consessi internazionali. Il leitmotiv è la preservazione del «fragile equilibrio della città santa» nel nome della giustizia e della verità», ha detto mons. Pizzaballa.

Teophilos III ha difeso ancora una volta la soluzione dei due Stati, israeliano e palestinese, con Gerusalemme Est come capitale palestinese. Per lui, non c’è alternativa al rischio di avere «più conflitti religiosi, estremismo e aggressione contro i diritti degli altri». Ha anche invitato tutte le Chiese del mondo a sostenere la Custodia hashemita «del Santo Sepolcro, dei luoghi santi e delle nostre chiese storiche in Terra Santa». È lo stesso trattato di pace del 1994 tra Israele e la Giordania a riconoscre a quest’ultima il ruolo di custode dei luoghi santi cristiani e musulmani a Gerusalemme.

Lo sceicco Abdul Azim Salhab, capo del supremo consiglio del Waqf di Gerusalemme, dopo aver presentato «[i suoi] più calorosi auguri a tutti i nostri fratelli e sorelle cristiani», ha salutato gli sforzi internazionali di re Abdallah, definendo la Giordania come «una forte linea di difesa per Gerusalemme e i suoi luoghi santi», inclusa la Chiesa del Santo Sepolcro.

Allargando il discorso all’instabilità politica regionale e alle conseguenze diplomatiche, economiche e sociali in Giordania, che ha accolto un milione e mezzo di profughi siriani e iracheni, mons. Pizzaballa ha ribadito davanti al re e al pubblico che è «tanto più necessario che lavoriamo tutti insieme affinché l’equilibrio sociale e religioso della nostra società sia sempre stabile e solido».

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