(c.l./g.s.) – Non è il primo rinvio, ma forse sarà l’ultimo. Così, almeno, fa intendere il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che domenica 21 ottobre ha optato per rinviare di «alcune settimane» l’evacuazione e la demolizione del villaggio di Khan al-Ahmar in Cisgiordania. La decisione è stata presa dal gabinetto di sicurezza israeliano per «permettere ai negoziati (con gli abitanti) di approdare a un’evacuazione volontaria» del villaggio beduino, ha detto una dichiarazione dell’Ufficio del premier israeliano. Nel corso della stessa giornata Netanyahu, preso atto della rabbia espressa dall’ala più a destra del suo governo, ha comunque ribadito il destino finale del villaggio: la demolizione. «È questa la nostra decisione politica e la metteremo in atto. (…) Non intendo posticiparla indefinitamente, ma per un periodo breve e limitato».
Il 5 settembre scorso, la Corte suprema israeliana ha dato alle autorità israeliane il via libera per la distruzione del villaggio, considerando che gli abitanti di Khan al-Ahmar vi si stabilirono illegalmente perché il villaggio era stato costruito senza permesso (d’altronde difficilissimo da ottenere – ndr). «Molte di queste persone furono evacuate dopo la guerra del 1948 e sono state di nuovo violentemente sradicate per far posto agli insediamenti illegali israeliani», ha osservato la Commissione Giustizia e Pace dell’Assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa, la scorsa settimana, come riporta l’agenzia Fides.
Il governo israeliano aveva indicato ai residenti il primo ottobre come scadenza entro la quale lasciare il villaggio e demolirne le strutture. Fino ad oggi, però, le famiglie beduine hanno rifiutato di andarsene.
Secondo la Reuters, il ministero degli Esteri palestinese ha definito quest’ultimo posticipo «nient’altro che un tentativo israeliano per calmare gli animi dei critici stranieri e locali».
Dal canto suo, il quotidiano Haaretz riferisce che Benjamin Netanyahu «studierà le diverse alternative all’evacuazione degli abitanti del villaggio». «Le nostre proposte si rifanno a quanto abbiamo già detto alla Corte: siamo disposti a trasferirci qualche centinaio di metri più a nord», ha detto uno degli avvocati della comunità beduina citato dall’agenzia France Presse. Secondo il legale, il governo israeliano non ha ancora risposto a quell’offerta.
Khan al-Ahmar, un agglomerato di appena 200 anime, è costituito da una quarantina di baracche in lamiera, assi di legno e teli nella zona C dei Territori palestinesi di Cisgiordania, controllata dalle forze armate israeliane a livello amministrativo e di sicurezza. Geograficamente il villaggio si colloca tra gli insediamenti di Maale Adumim e Kfar Adumim, a est di Gerusalemme, lungo la Strada n. 1 che conduce alla città di Gerico. Secondo i sostenitori del villaggio beduino, la sua distruzione consentirebbe di estendere e collegare tra loro i due insediamenti israeliani già citati. In tal modo si limiterebbe ulteriormente l’accesso dei palestinesi della Cisgiordania alla parte orientale della Città Santa, rendendo ancora più complicata la creazione di uno stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale.
Dalle Nazioni Unite all’Unione Europea, passando per la Corte penale internazionale – che il 17 ottobre scorso ha ammonito Israele che un’evacuazione forzata rischia di configurarsi come un crimine di guerra – la comunità internazionale non ha nascosto le sue preoccupazioni per la creazione di un precedente che minaccia il futuro di altre migliaia di beduini in Cisgiordania e compromette la possibilità di creare uno Stato palestinese.
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