Un’antica iscrizione in lingua aramaica che menziona Gerusalemme è stata rinvenuta su una colonna risalente al periodo del Secondo Tempio giudaico, sotto il regno di Erode il Grande. A richiamare l’interesse degli archeologi israeliani, è soprattutto il fatto che il toponimo utilizzato per riferirsi alla città, e scritto con lettere dell’alfabeto ebraico, è analogo a quello impiegato dagli ebrei dei giorni nostri: Yerushalaim.
L’Autorità israeliana per le antichità (Aia) e il Museo di Israele hanno illustrato il reperto il 9 ottobre scorso durante una conferenza stampa per l’apertura della mostra intitolata Hananiah son of Dudalos of Jerusalem (Anania figlio di Dodalos di Gerusalemme), allestita nelle sale del grande museo gerosolimitano.
La scoperta – hanno spiegato gli studiosi – risale allo scorso inverno ed è avvenuta vicino a Binyenei Hauma, il centro congressi internazionale di Gerusalemme, non lontano dalla stazione degli autobus.
L’archeologo Danit Levy, dell’Aia, ha potuto scavare le fondamenta di un edificio risalente all’occupazione romana e appoggiato su colonne di calcare. Faceva parte di un villaggio di ceramisti ebrei prossimo all’ingresso di Gerusalemme. È proprio su una di quelle colonne che è stata trovata l’iscrizione che menziona la Città Santa.
L’iscrizione si articola su tre righe, ed è incisa su una colonna alta 81 centimetri e con un diametro di 47,5 centimetri. Recita: «Anania figlio di Dodalos di Gerusalemme».
«È questa l’unica iscrizione su pietra del periodo del Secondo Tempio a noi nota nella quale appaia l’ortografia completa (“di Gerusalemme”). Questo spelling ricorre solo in un altro caso, su una moneta dei tempi della Grande rivolta antiromana del 66-70 d.C.», hanno riferito Yuval Baruch dell’Autorità israeliana delle antichità e il professor Roni Reich, dell’Università di Haifa. I due ricercatori hanno letto e studiato l’incisione e sostengono che «le iscrizioni che menzionano Gerusalemme all’epoca del Primo e del Secondo Tempio sono piuttosto rare. Ma ancor più unica è l’ortografia completa del nome come lo conosciamo oggi, che di solito appare nella versione ridotta»: Yerushalem o Shalem.
La rarità del nome nella grafia completa balza all’occhio anche nella Bibbia. Se il nome della città appare 660 volte nell’Antico Testamento, la grafia estesa Yerushalaim è attestata nel testo sacro ebraico solo cinque volte: nei Libri di Geremia (capitolo 26 versetto 18), Ester (2, 6) e tre volte nel Secondo libro di Cronache.
«Ora abbiamo la certezza che durante il periodo del Secondo Tempio, alcune persone nella zona di Gerusalemme usavano lo stesso vocabolo che impieghiamo noi oggi (Yerushalaim) quando pronunciavano o leggevano il nome della città. Ci rendiamo così conto del fatto che questo nome ha radici molto profonde; non è una creazione moderna, non è stato forgiato dalla Diaspora», ha commentato Yuval Baruch, citato dall’Agenzia France Presse.
I dettagli sull’identità di Anania e le ragioni per cui ha inciso il proprio nome e quello di Gerusalemme sulla colonna non sono ancora stati chiariti. Ciò che gli archeologi possono dire, tuttavia, è che era ebreo e che si trattava di un vasaio o di un artista. La colonna in pietra si trovava infatti nel mezzo di un villaggio di ceramisti ebrei del II secolo a.C.
Secondo Levy Danit (dell’Aia) gli scavi archeologici si trovano «sul più grande sito di produzione di antiche ceramiche nell’area di Gerusalemme nell’ultima fase del periodo del Secondo Tempio, in particolare durante il regno di Erode, la produzione era focalizzata sulla produzione di recipienti da cucina destinati alla cottura. Nel sito sono venuti alla luce anche forni, bacini per la produzione dell’argilla, cisterne per l’acqua intonacate, bagni rituali e aree di lavoro per l’essiccazione e la conservazione della ceramica. Il vasellame veniva venduto in grandi quantità agli abitanti di Gerusalemme e dintorni, oltre che ai pellegrini. Il Tempio, verso cui confluivano i pii israeliti, sorgeva a soli 2 chilometri e mezzo di distanza.
Per Dudy Mevorach, responsabile della sezione archeologica del Museo di Israele, Anania probabilmente non era davvero figlio di Dodalos. Avremmo a che fare, piuttosto, con un omaggio allo scultore e architetto Dedalo, figura emblematica della mitologia greca. Ulteriore prova del fatto che gli ebrei dell’epoca erano in gran parte stati influenzati dalla cultura greca sin dalle conquiste di Alessandro Magno. Nulla sappiamo sull’utilizzo originario della colonna di pietra che è stata riutilizzata ai margini di un invaso.
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