Centinaia di Caschi Bianchi siriani sono stati distribuiti in Occidente, dopo essere espatriati in luglio verso Israele e Giordania. La pagina finale di un capitolo controverso.
Le autorità della Giordania hanno annunciato che circa 300 Caschi Bianchi siriani, entrati nel regno hashemita nei giorni in cui l’esercito di Bashar al-Assad e l’aviazione russa davano le ultime spallate alla riconquista di Daraa (nel Sud del Paese) sono partiti per il Regno Unito, il Canada e la Germania, dove verranno sistemati in base a un piano elaborato in accordo con le Nazioni Unite. In quegli stessi giorni di luglio, altre centinaia di Caschi Bianchi venivano scortati dall’esercito israeliano e si mettevano al sicuro nei confini dello Stato ebraico, da dove poi è stato avviato il loro espatrio verso i soliti Paesi d’accoglienza: Germania, Regno Unito, Usa, Canada.
Si chiude così una delle pagine più controverse della guerra tra propagande che da sette anni accompagna, con effetti poco meno micidiali, la guerra vera dei fucili e dei cannoni. Per il governo siriano, infatti, i Caschi Bianchi (in realtà più noti con il nome inglese di White Helmets, mentre quasi nessuno usa la denominazione ufficiale: Difesa civile siriana) non sono altro che un gruppo terroristico affiliato ad Al Qaeda, che nel conflitto siriano ha finito col prendere il nome di Al Nusra. Per tutti i Paesi occidentali, invece, i Caschi Bianchi sono un’associazione di 3 mila volontari che si sono radunati per prestare soccorso ai civili intrappolati nelle zone di guerra. Per questo sono stati candidati al premio Nobel per la Pace nel 2017 e nello steso anno un documentario che esaltava la loro opera ha vinto il premio Oscar.
Come per molti altri aspetti di questa orribile guerra, anche la discussione sui Caschi Bianchi, che dicono di aver salvato 65 mila vite e di aver perso circa 200 volontari in questi sette anni, non approderà mai a conclusioni condivise. Eroi o terroristi, la via di mezzo non è data. È persino possibile che i Caschi Bianchi siano stati sia gli uni sia gli altri. I loro interventi a favore dei civili sono indubbi, ma altrettanto certi sono alcuni fatti che possono farci dubitare della loro vera missione. Ecco una sommaria sintesi. I Caschi Bianchi si formano in Turchia nel 2013, quando da due anni la Turchia ospita i campi di addestramento del’Esercito libero siriano (anti-Assad) ed è ormai diventata la retrovia da cui passano i foreign fighters e i rifornimenti per le formazioni jihadiste che operano in Turchia. Li forma James Le Mesurier, ex membro delle forze speciali inglesi. Per anni ricevono importanti finanziamenti dai Paesi che chiedono la rimozione di Assad: Usa (33 milioni di dollari in cinque anni), il Regno Unito (44 milioni di euro), Danimarca, Olanda (dove ha sede l’Ong fondata da Le Mesurier, la Mayday Rescue) e Germania. Per finire, ottengono l’appoggio di Israele, noto per aver curato nei propri ospedali i miliziani anti-Assad feriti negli scontri nel Sud della Siria, e della Giordania, che ha ospitato i campi di addestramento dei ribelli anti-Assad sostenuti e finanziati dagli Usa.
Con tutta la buona volontà, è difficile credere ai Caschi Bianchi quando si definiscono neutrali. Se lo fossero stati, non avrebbero ricevuto tutti quei soldi da Paesi che neutrali non sono per nulla, visto che hanno decretato l’embargo contro la Siria di Assad e hanno a più riprese bombardato l’esercito siriano e le sue basi.
È più plausibile, invece, che anche i Caschi Bianchi abbiano seguito il percorso di gran parte della rivolta contro Assad. Che nella sua parte nobile partì pacifica e piena di ideali nel 2011, senza sapere o capire che c’era già chi era pronto a sfruttarla per ben altri obiettivi. E in breve a fagocitarla.
Perché Babylon
Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.
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Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com