Con l'obiettivo di riportare la leadership palestinese a più miti consigli la Casa Bianca ha bloccato anche i fondi per la cooperazione internazionale destinati agli ospedali di Gerusalemme Est.
Tra il venticinquesimo anniversario degli Accordi di Oslo e l’Assemblea generale dell’Onu anche quest’anno abbiamo stancamente onorato il rito dei rimpianti sulla pace che non è stata e quello delle parole vuote sul tema «è meglio uno, due o nessuno Stato in Israele e in Palestina». Passate le elezioni di MidTerm – tra poco più di un mese – anche il presidente statunitense Donald Trump avrà ben altro a cui pensare, e ancora una volta Gerusalemme ritornerà abbandonata a sé stessa.
Con qualche significativa maceria in più, però. Perché nella foga ideologica di queste settimane – con l’obiettivo di riportare la leadership palestinese al tavolo della trattativa dopo che Ramallah ha deciso di rifiutare ogni incontro ufficiale con Washington per via della scelta sul trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme – la Casa Bianca ha colpito anche la cosiddetta «pace dal basso». Oltre, infatti, a cancellare ogni finanziamento all’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu che si occupa dei profughi palestinesi, Trump ha bloccato anche gli aiuti attraverso cui UsAid – l’Agenzia per la cooperazione internazionale – sosteneva le attività di realtà della società civile palestinese, impegnate soprattutto nel costruire ponti di incontro con altrettante associazioni israeliane a partire dalle esperienze quotidiane della vita: la famiglia, la scuola, lo sport, la cultura eccetera.
Tra le vittime eccellenti di questa politica muscolare è finita persino la sanità: la Casa Bianca ha infatti deciso di tagliare il contributo di 25 milioni di dollari che la cooperazione americana versava all’East Jerusalem Hospital Network, la rete di sei ospedali che assistono i palestinesi di Gerusalemme Est. La cosa ha un risvolto importante anche dal punto di vista della presenza dei cristiani in Terra Santa perché quattro di quei sei ospedali sono espressione di realtà legate alla storia della presenza delle Chiese a Gerusalemme. Il più famoso è l’Augusta Victoria, sul Monte degli Ulivi, che è tuttora di proprietà della Federazione luterana mondiale. Ma ce n’è anche uno cattolico – quello della congregazione francese delle Suore di San Giuseppe – oltre a quello degli Ospitalieri di San Giovanni e al Centro di riabilitazione Principessa Basma, specializzato nelle cure ai disabili e gestito dalla diocesi anglicana di Gerusalemme.
Il caso dell’Augusta Victoria è emblematico per tutti: molti pellegrini che sono stati a Gerusalemme probabilmente lo hanno fotografato senza nemmeno sapere che cosa fosse; la sua massiccia torre svetta infatti sul profilo del Monte degli Ulivi. Intitolato alla moglie del kaiser Guglielmo II l’ospedale fu inaugurato nel 1910 e ha vissuto in prima linea molte delle pagine della travagliata storia del Novecento a Gerusalemme. Ma oggi – come racconta molto bene l’articolo che rilanciamo sotto, pubblicato dalla rivista ebraica americana Forward – è soprattutto l’unico ospedale in grado di offrire trattamenti oncologici a 4 milioni e mezzo di palestinesi. E tra l’altro è anche uno degli snodi attraverso cui – spesso e volentieri – passa la cooperazione in campo medico tra israeliani e palestinesi.
Il taglio dei fondi deciso dall’amministrazione Usa mette seriamente a rischio tante sue attività, come ha denunciato in questi giorni la Federazione luterana mondiale. Una denuncia a cui il governo degli Stati Uniti ha risposto dicendo che la responsabilità è tutta della leadership palestinese. Non capendo (o non volendo ammettere) che – al contrario – sono proprio questo tipo di strutture a tenere in piedi un minimo di rapporti anche in questo tempo in cui i canali della politica sono chiusi.
Ma tutto questo ha una conseguenza anche nel modo di porsi della politica sulla presenza dei cristiani a Gerusalemme. Nonostante i numerosi appelli in senso contrario avanzati nell’opinione pubblica statunitense, anche sulla vicenda degli ospedali Trump ha scelto di ascoltare solo le sirene dei movimenti evangelical del sionismo cristiano, gli stessi che lo hanno spinto alla scelta sullo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme. Anche a costo di mettere a rischio presenze storiche cristiane importanti nella Città Santa.
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Clicca qui per leggere la pagina sull’ospedale Augusta Victoria sul sito della Federazione luterana mondiale
Perché “La Porta di Jaffa”
A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.