Le autorità aeroportuali israeliane hanno fatto allestire in un'ala dello scalo internazionale Ben Gurion, a Tel Aviv, due nuovi spazi riservati alla preghiera di cristiani e musulmani.
Nell’aeroporto internazionale Ben Gurion, a Tel Aviv, c’era già una sinagoga. Ora il più importante scalo aereo israeliano mette a disposizione dei passeggeri in transito anche due nuove aule di preghiera, affiancate ma distinte, destinate ai musulmani e ai cristiani (cattolici, ortodossi o protestanti che siano).
La notizia avrebbe potuto passare inosservata se la studiosa Yisca Harani, coinvolta in questo progetto, non avesse raccontato nei giorni scorsi la sua esperienza in un testo (in ebraico) rilanciato dal vicariato per i cattolici ebreofoni in Israele.
Harani è un’ebrea israeliana, ricercatrice e consulente specializzata sui temi del cristianesimo. Nel 2013, a Gerusalemme, è stata insignita del Premio Monte Sion, riconoscimento che mette in luce persone che operano per il dialogo interreligioso, la pace e l’incontro tra culture.
A lei sono stati chiesti consigli su come allestire e arredare le due aule di preghiera. Il progetto, osserva, rientra «nella cornice di un discorso inclusivo», che punta «al pluralismo e all’accettazione delle differenze». Ma la Harani confessa a Terrasanta.net di non sapere cosa ne pensino gli altri ebrei: «Non credo che ci sia stata una grande presa di coscienza in proposito». Il responsabile del coordinamento dei pellegrinaggi musulmani le ha invece riferito d’aver informato le agenzie di viaggio. Alcune fotografie testimoniano che l’aula di preghiera musulmana, in talune giornate, si è già riempita di fedeli. La studiosa se ne rallegra e fa notare i risvolti pratici dell’apertura delle due nuove sale, che offrono a chi transita per l’aeroporto Ben Gurion (nel 2017 sono stati 20 milioni gli arrivi e le partenze) un angolo calmo e confortevole ove raccogliersi.
I due spazi per la preghiera si trovano al terminal 3 (l’edificio principale dell’aerostazione) nell’ala E, inaugurata nel febbraio 2018. La sinagoga, invece, è in un altro settore, nei pressi del grande salone centrale dal quale si diramano tutte le ali che conducono ai cancelli di imbarco e sbarco.
È grazie all’insistenza di Offet Lepler, il responsabile del terminal 3, e di Naomi Kleiman, che dirige l’ala E, se si è giunti all’apertura dei nuovi spazi un paio di mesi fa, dopo due anni di progettazione e cantieri per la realizzazione della sezione E, inaugurata in ritardo rispetto ai tempi previsti.
I costi di realizzazione sono stati sostenuti dall’Autorità aeroportuale israeliana e la gestione ordinaria delle due aule è affidata al personale dell’ala E, il quale si fa carico anche della sicurezza delle persone e degli spazi (perché siano tutelati da eventuali vandalismi). Il tema sicurezza è stato ben presente sin dai primi passi del progetto: ogni scenario è stato preso in considerazione, per mettere a punto le contromisure più appropriate ed efficaci.
Yisca Harani ammette onestamente che non tutte le sue raccomandazioni riguardo all’arredamento e alle decorazioni dei due ambienti sono state recepite. D’altronde – riconosce – un consulente è chiamato a fornire consigli e non direttive. Quando le hanno chiesto se fosse opportuno acquistare dei piccoli tappeti per la sala di preghiera musulmana lei ha segnalato l’eventualità che possano essere rubati, ma i responsabili dell’aeroporto hanno preferito procedere con l’acquisto, dando fiducia agli utenti.
Un altro esempio: per prudenza, e non per desiderio di neutralità, la Harani aveva suggerito di non usare nella segnaletica la croce come simbolo cristiano, per scongiurare atti di vandalismo. Per la stessa ragione aveva sconsigliato il ricorso ai pittogrammi della moschea o della chiesa, che alla fine però sono stati utilizzati: l’aula di sinistra è contrassegnata da un campanile sormontato da una piccola croce, mentre quella di destra da una cupola su cui campeggia la mezzaluna.
Nel corridoio dell’aeroporto c’è anche un pannello grafico in ebraico, arabo ed inglese che indica gli spazi per la preghiera senza ricorrere a termini come “chiesa”, “cappella”, “tempio” o “moschea”. La formula adottata è «sale di preghiera», accompagnata dal simbolo di due mani aperte rivolte verso il cielo.
Secondo la Harani è improbabile che simili ambienti vengano allestiti anche nelle stazioni ferroviarie israeliane, perché i treni sono in genere a breve percorrenza e i tempi d’attesa per le coincidenze non sono mai eccessivi. Sarebbe, invece, forse il caso di concepire spazi del genere all’interno delle università.