È ancora emergenza siccità per il lago di Tiberiade in Israele. Eppure pochi si allarmano, perché ormai si fa ricorso agli impianti di desalinizzazione delle acque del Mediterraneo. Senza rischi né incognite?
Con tutti i problemi che ha il Medio Oriente sembrerebbe proprio non aver tempo per affrontare sul serio il tema del riscaldamento globale. Solo che l’impressione è che si stia avvicinando il giorno in cui si troverà a pagare pesantemente il conto di questa disattenzione.
Viene da pensarlo leggendo un articolo pubblicato senza neanche troppa evidenza sul Times of Israel qualche giorno fa: ci informa che Israele sta entrando nel suo sesto anno consecutivo di siccità; e che laghi, fiumi e riserve acquifere nel Paese sono ormai ai livelli più bassi da cento anni a questa parte. Chi è stato in Medio Oriente sa quanto la questione dell’acqua sia cruciale in questa regione; lo scontro sul controllo dei bacini e delle sorgenti è uno dei nodi fondamentali dello stesso conflitto israelo-palestinese. E il sistema dell’irrigazione goccia a goccia è stato per decenni il fiore all’occhiello dell’agricoltura dei kibbutz, riuscita a far letteralmente fiorire il deserto sfruttando al meglio la poca acqua disponibile.
Con queste premesse ci si aspetterebbe che il Paese sia in allarme, come accadeva qualche anno fa quando le notizie sul livello raggiunto dal lago di Tiberiade – la principale riserva di acqua dolce – erano seguite con apprensione in tutto il Paese. Oggi, invece, non sembra essere più così. Il lago è ormai vicinissimo alla black line, il livello di emergenza sotto il quale secondo gli esperti potrebbero insorgere problemi molto gravi per il mantenimento del suo ecosistema delicato. È talmente basso che si è creata anche una specie di isola nei pressi del kibbutz Maagan, sulla sponda meridionale del lago. Eppure, stavolta sembrerebbe non destare troppa preoccupazione in Israele; in molti probabilmente nemmeno se ne sono accorti, perché, a differenza delle altre volte, non sono ancora scattate le misure per il razionamento dell’acqua nel Paese.
Il motivo è molto semplice: ormai il lago di Tiberiade non è più così fondamentale per l’approvvigionamento idrico nelle case e per l’agricoltura. La grande espansione degli impianti di desalinizzazione avvenuta negli ultimi anni, infatti, ha creato un contesto in cui il 70 per cento dell’acqua necessaria al Paese arriva dal mare. Apparentemente sembrerebbe il classico uovo di Colombo offerto dalla tecnologia: abbiamo trovato la soluzione che ci permette di non dover più preoccuparci della scarsità di una risorsa fondamentale. Ma le cose stanno davvero così?
Intanto vale la pena di sottolineare che in circolo c’è comunque un 30 per cento di risorse idriche provenienti dalle riserve d’acqua dolce; e dunque è molto probabile che le restrizioni scattino nei prossimi giorni se – come ci si attende – davvero il lago di Tiberiade raggiungerà la linea nera. E andrà poi verificato come queste restrizioni andranno a impattare sui profondi squilibri già esistenti tra israeliani e palestinesi riguardo alle possibilità di accesso all’acqua.
Ma ammettiamo anche che presto la quota ottenuta dagli impianti di desalinizzazione aumenti ulteriormente, rendendo addirittura trascurabile l’altro canale di approvvigionamento: quell’acqua ottenuta è davvero a costo zero? La risposta sembra essere comunque no. In passato il processo per rendere utilizzabile l’acqua del mare richiedeva un impiego massiccio di energia ed era il motivo per cui queste strutture spesso si trovavano vicino alle centrali nucleari, con tutti i problemi che ciò comportava in termini di stoccaggio delle scorie radioattive. Ma in Israele sono stati elaborati nuovi sistemi innovativi che sembravano aver ridotto notevolmente non solo i costi, ma anche il problema dell’impatto ambientale di questi impianti. Il che spiega bene il boom degli ultimi anni.
Solo che ora sta emergendo un dubbio: siamo proprio sicuri che l’acqua desalinizzata sia davvero uguale a quella delle riserve d’acqua dolce? L’articolo del Times of Israel cita uno studio un po’ inquietante pubblicato il mese scorso dal Clait Health Services – la principale azienda sanitaria israeliana – su un campione di quasi 200 mila persone: hanno messo a confronto chi utilizza in casa acqua proveniente da impianti di desalinizzazione con chi invece abita in zone in cui l’acquedotto è collegato ai bacini naturali. Tra gli utenti desalinizzati si registrerebbe un incremento significativo dell’incidenza delle malattie cardiovascolari: un 6 per cento in più secondo alcuni dati, oltre il 10 per cento secondo altri.
Non fosse che per questa ragione forse in Israele varrebbe la pena di tornare a preoccuparsi un po’ di più del livello del lago di Tiberiade. E magari anche di quegli alleati potenti che a Washington stanno facendo di tutto per cancellare anche i timidi impegni che nel 2015 il mondo si era comunque assunto alla Conferenza di Parigi. Per provare a fare i conti davvero e in maniera globale con una sfida molto seria come la lotta ai cambiamenti climatici.
—
Clicca qui per leggere l’articolo del Times of Israel
Clicca qui per leggere un articolo del 2016 sui passi da gigante compiuti dagli impianti di desalinizzazione israeliani
Perché “La Porta di Jaffa”
A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.