Il 29 luglio 2013 veniva rapito a Raqqa il gesuita impegnato per la pace. Nel ricordo del suo insegnamento, ancora attuale, l’attenzione a tutte le vittime siriane. Sulla Rai, uno Speciale del Tg1.
La comunità di Deir Mar Musa, l’antico monastero cristiano sulla «riva» del deserto che Paolo Dall’Oglio aveva contribuito a far rinascere, è ancora viva e prosegue nella missione di preghiera, accoglienza e incontro. Lo stesso vale per la piccola comunità nel Kurdistan iracheno nata dall’esperienza siriana. A cinque anni dal giorno in cui a Raqqa è stato messo a tacere, i semi piantati dal gesuita romano «innamorato» dell’Islam danno ancora frutti nelle terre devastate dal conflitto. È viva la sua eredità spirituale e prosegue il dialogo che lui stesso chiamava «religioso», non solo «interreligioso». Federico Lombardi, confratello di Dall’Oglio e già portavoce degli ultimi due pontefici, ha ricordato questi segni di speranza in un incontro promosso da giornalisti che, insieme ai familiari, vogliono tenere viva l’attenzione sulla sua sorte e sulle sofferenze di milioni di siriani.
Domenica 29 luglio sarà il quinto anniversario della scomparsa di padre Dall’Oglio. Scomparsa in senso letterale, perché di lui non si sono più avute notizie e si sono perse le tracce.
Abuna Paolo ha trascorso oltre un trentennio in Siria prima di essere espulso dal governo nell’estate del 2012. Ma non ha mai veramente abbandonato il Paese, continuando a dedicarsi alla causa della pace, dall’Europa o in Turchia presso il confine. In due circostante è rientrato nelle zone non più controllate dalle forze di Damasco. Conosceva i rischi che correva. Specialmente nel luglio del 2013, quando volle recarsi a Raqqa, città sull’Eufrate dove l’Isis stava prendendo piede, allo scopo di intercedere per la liberazione di un attivista democratico, Firas al-Haj Saleh. Andava nella «tana del lupo» per aiutare questo padre trentenne, leader locale del movimento popolare impegnato a favore dei profughi, che i miliziani del sedicente califfato islamico avevano fatto sparire.
Per tre anni Raqqa è stata la roccaforte dei jihadisti. Da alcuni mesi è stata liberata, anche se risulta in gran parte distrutta. Con il sostegno americano, le cosiddette Forze democratiche siriane, composte da arabi e, soprattutto, curdi, hanno sconfitto i miliziani dell’Isis. Ora, mutato il quadro politico, si aprono alcuni spiragli per ricominciare a cercare la verità, dopo che, per cinque anni, si sono inseguite voci e depistaggi che non hanno portato a nulla.
La Rai dedica in questi giorni alla scomparsa del religioso italiano alcuni di approfondimenti. In particolare lo Speciale Tg1, in onda domenica 29 luglio (ore 23.30), curato da Amedeo Ricucci, raccoglie le parole degli amici che lo hanno visto negli ultimi giorni e individua una figura dell’Isis, un emiro a capo di una tribù locale, che può avere informazioni concrete sulla sua sorte perché presente nel luogo dove si stava recando abuna Paolo il giorno del rapimento.
«Intercedere non vuol dire semplicemente “pregare per qualcuno” – spiegò una volta il cardinal Martini –, ma etimologicamente significa “fare un passo in mezzo”, fare un passo in modo da mettersi nel mezzo di una situazione. Intercessione vuol dire allora mettersi tra le due parti in conflitto». Mettendosi in mezzo, padre Dall’Oglio ha inteso la sua vita come missione del dialogo, da lui vissuta lungo un doppio binario, di «collera e luce» (come è intitolato il suo ultimo libro). La collera di chi non accetta il mondo com’è, e la luce che viene dalla fede nel progetto in cui si crede. Per questo Dall’Oglio è stato descritto come «un mistico con l’urgenza del fare sociale», un monaco in lotta contro gli estremismi e per ristabilire la giustizia in Terra Santa.
Nei mesi prima di scomparire ha continuato a impegnarsi per la pace, cercando nuove iniziative per evitare massacri e ricucire costantemente il tessuto nazionale. «I siriani hanno una cultura della riconciliazione e della pace nella grande maggioranza – spiegava nel 2013 –, ma le derive di violenza che si sono accumulate in questi tempi e si sono colorate islamicamente o solo come odio intercomunitario rischiano di non essere gestibili». Passava da Raqqa la sua speranza di affrontare i conflitti in modo diverso, plurale, democratico, basato quindi sul dialogo, senza il quale vedeva solo torture, deportazioni, assassinii, sequestri. I moniti di allora si sono rivelati del tutto fondati: aveva previsto che la «bomba umana» di milioni di persone in fuga avrebbe messo in crisi l’Europa. Perciò metteva in guardia dall’isteria e dalla xenofobia che poi si sono puntualmente presentate.
Un altro gesuita, Camillo Ripamonti, che dirige il Centro Astalli di Roma per l’accoglienza dei richiedenti asilo, sottolinea l’attualità di quelle parole, pensando a milioni di siriani scappati all’estero o sfollati nel Paese. Dall’Oglio citava un proverbio arabo: una mano da sola non applaude. «Se lasceremo da soli i nostri vicini – ha detto padre Ripamonti, citando Dall’Oglio – finiremo inghiottiti dal loro destino e sarà quello di un applauso terrificante». Un riferimento al razzismo che si diffonde e all’indifferenza verso il conflitto in Siria, di chi dimentica le vittime o le trasforma in parassiti.
Per abuna Paolo la paura è la madre di tutti i fondamentalismi, in un «circolo ermeneutico infernale», come lo chiamava, in cui «le paure legittimano la repressione, che crea l’estremismo, che giustifica le paure». Oggi la tragedia siriana rischia di finire in un cono d’ombra, anche se i civili sono ancora uccisi alle porte di Damasco o a Daraa. Serve ricordare Paolo Dall’Oglio insieme ai vescovi ortodossi scomparsi e a tantissime altre vittime, per capire l’urgenza del suo messaggio, denuncia e testimonianza cristiana scaturite da una vita di amicizia per l’Islam e per i siriani di ogni confessione. (f.p.)