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Se gli aquiloni vanno in guerra

Giorgio Bernardelli
19 luglio 2018
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Anche palloncini e aquiloni cambiano segno nell'incancrenito conflitto israelo-palestinese: da simboli di gioia e di pace assumono la veste di armi rudimentali. E schiudono le porte a un altro abisso.


Un’altra arma rudimentale. E proprio per questo difficilissima da fermare per l’attrezzatissimo esercito israeliano. Da qualche settimana intorno a Gaza – ancora più delle manifestazioni del venerdì sul “confine” – a far paura ai generali sono gli aquiloni. Ed è difficile dar loro torto: i miliziani palestinesi hanno infatti messo a punto un nuovo sistema per provocare danni al di là della recinzione, nelle cittadine israeliane più vicine. Fanno salire in cielo aquiloni o palloncini che portano legate alla coda delle strisce incendiarie o delle micro-cariche esplosive. Il risultato sono incendi che in un attimo – nel clima arido della regione di Gaza – possono creare guai seri. Qualche giorno fa uno di questi sistemi rudimentali è finito addirittura nel giardino di un asilo dove c’erano dei bambini: per fortuna non vi sono stati feriti.

Questa nuova forma di guerra dal cielo va avanti da aprile e ha già creato problemi notevoli; sono stati contati 678 attacchi di questo genere, che hanno devastato soprattutto le coltivazioni agricole della zona. Per correre ai ripari l’esercito israeliano aveva annunciato anche l’uso dei droni, ma i risultati contro gli aquiloni non paiono essere stati incoraggianti. Così negli ultimi giorni è stato il premier israeliano Benjamin Netanyahu a fare la voce grossa lasciando intendere che se questa emergenza non dovesse terminare lui è pronto anche a una nuova guerra a Gaza per gli aquiloni. Quasi per riflesso condizionato nelle ultime ore si è quindi parlato di un intervento dell’Egitto a cui Hamas avrebbe promesso l’intenzione di far interrompere gradualmente questo tipo di azioni. Promessa però che – almeno per ora – è stata smentita con una dichiarazione all’agenzia palestinese Maan dall’unità degli aquiloni incendiari, il gruppo di miliziani che coordinerebbe i lanci. Il gruppo dichiara – al contrario – di voler intensificare le operazioni nelle prossime 72 ore.

Ce n’è a sufficienza per capire che questa storia è destinata ad andare avanti ancora a lungo. E per trarne una conclusione molto triste: quando un conflitto si incancrenisce anche i simboli che parlerebbero di pace e di libertà finiscono per essere piegati alle logiche di guerra. È il caso, appunto, degli aquiloni che nel 2011 proprio a Gaza erano stati protagonisti di un’iniziativa di ben altro genere: l’Unrwa aveva coinvolto i bambini e i ragazzi che partecipavano ai giochi estivi nell’operazione Kites for peace; quel giorno ne avevano fatti volare contemporaneamente ben 13 mila, entrando così nel Guinness dei primati. Tre anni dopo – in uno dei tanti momenti bui che hanno segnato la storia recente della Striscia – in molte città del mondo era stata promossa un’iniziativa di solidarietà con i ragazzi di Gaza proprio utilizzando come simbolo gli aquiloni. Al contrario oggi proprio gli aquiloni sono diventati un’arma. Confermando una legge ormai evidente di questo conflitto: più si lasciano ingigantire le sofferenze e le contraddizioni, senza affrontare la sfida di una pace fondata sulla giustizia, più l’inerzia travolge qualsiasi cosa.

Eppure, proprio in queste ore e proprio da Gaza e dai suoi vicini israeliani è arrivato anche un messaggio di segno opposto che ci ricorda il permanere di piccole isole di libertà, dove è possibile ribellarsi alla logica dello scontro. La famiglia di Reuven Schmerling – un israeliano ucciso l’anno scorso nel giorno del suo settantesimo compleanno in uno degli attacchi dell’intifada dei coltelli – ha deciso di ricordarlo dedicandogli una nuova sinagoga. Ma ha avuto la sorpresa di ricevere per questa sua iniziativa anche un contributo economico da un imprenditore palestinese di Gaza. Aveva conosciuto Schmerlin e lo ricordava come una persona dal cuore puro, un uomo che amava tutti. Lo stesso gesto, in seguito, l’hanno compiuto anche altri palestinesi, che serbavano quello stesso ricordo della vittima.

Piccoli segni di un mondo nel quale anche un aquilone può tornare ad essere un aquilone. Se solo si accetta di trattare come un fratello chi sta dall’altra parte della barricata.

Clicca qui per leggere su The Times of Israel la notizia sulla possibile tregua sugli aquiloni

Clicca qui per leggere la bellicosa smentita dell’unità aquiloni incendiari

Leggi qui la notizia su Kites for Peace

Leggi qui la notizia sulla sinagoga intitolata a Reuven Schmerling

  


 

Perché “La Porta di Jaffa”

A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.

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