Grazie all’iniziativa di un gruppo privato, Israele conta di diventare presto il quarto Paese ad inviare un modulo lunare sul satellite del pianeta Terra, seguendo le orme dei suoi predecessori: Stati Uniti (nel 1966), Unione Sovietica (l’attuale Russia, nel 1966) e Cina (nel 2013). L’annuncio è stato dato il 10 luglio scorso con una conferenza stampa convocata da Space IL, iniziatrice del progetto. Che la vede associata a Israel Aerospace Industries (Iai), il più grande gruppo aeronautico pubblico israeliano.
Per una spesa prevista di 95 milioni di dollari, versati soprattutto da privati, e dopo otto anni di lavori, un veicolo spaziale israeliano toccherà il suolo lunare. Il viaggio da qui alla luna dovrebbe durare un paio di mesi e il lancio è previsto in dicembre da Cape Canaveral, in Florida (Usa), con un vettore americano del tipo SpaceX Falcon 9. L’allunaggio dovrebbe avvenire il 13 febbraio 2019, se tutto andrà secondo i piani.
Il modulo israeliano non avrà alcun astronauta a bordo e sarà il più piccolo tra quelli che si sono posati sulla Luna. Misurerà un metro e mezzo di altezza e avrà un diametro di due metri. Il peso complessivo è di 600 chili. Si noti che i tre quarti del peso sono costituiti dal carburante, che, alla velocità massima, consentirà al dispositivo di raggiungere i 36 mila chilometri orari.
Il veicolo poggerà su quattro gambe e sarà equipaggiato con telecamere e apparecchi di registrazione che permetteranno di fotografare e filmare l’arrivo sulla Luna. La missione sarà breve – durerà solo 48 ore – e servirà a misurare il campo magnetico lunare nel quadro di un esperimento scientifico condotto in collaborazione con l’Istituto di ricerca Weizmann, in Israele. A missione compiuta, la nave spaziale, ormai inerte, resterà sul suolo lunare con i colori della bandiera israeliana e la scritta: Israele vivrà per sempre.
«Conquistare lo spazio non è soltanto un modo per provare le proprie capacità tecnologiche, ma anche un bisogno urgente per la razza umana, che va dilapidando rapidamente le risorse naturali terrestri», ha dichiarato Yossi Weiss, direttore generale dell’Iai. «Dobbiamo elaborare piani di emergenza. La Terra si fa sempre più stretta e il futuro dell’umanità è nello spazio», ha aggiunto. In ogni caso «questo progetto segna un cambiamento nell’industria israeliana che, fino ad oggi, concepiva i programmi militari come imperniati sulla sicurezza e la difesa del Paese, attraverso satelliti pensati per la sorveglianza aerea e terrestre e il sistema antimissile Cupola di ferro», spiega il giornalista indipendente Jacques Benillouche per Slate.
L’avventura spaziale di Israele suscita molte speranze e sembra avere un futuro roseo. Il 12 luglio, il nuovo capo della Nasa – l’agenzia aerospaziale statunitense – Jim Bridenstine (insediatosi il 23 aprile scorso) ha scelto, per la sua prima visita ufficiale all’estero, di recarsi a Gerusalemme. Il quotidiano The Times of Israel riferisce che, tra gli altri, ha incontrato il ministro israeliano per la scienza e la tecnologia, Ofir Akunis. I due hanno manifestato la volontà di prolungare la cooperazione per quanto riguarda la stazione spaziale internazionale, l’esplorazione dello spazio e le scienze della terra.
Il quotidiano Haaretz riporta che Ofir Akunis ha auspicato che un secondo astronauta israeliano possa un giorno tornare nello spazio e Jim Bridenstine ha risposto che gli Stati Uniti esamineranno la richiesta. Sarebbe un evento dal valore anche simbolico, nel ricordo commosso di Ilan Ramon, il primo israeliano a recarsi in orbita, con la Nasa. L’ex ufficiale dell’aeronautica perse la vita il primo febbraio 2013, insieme al resto dell’equipaggio dello Shuttle Columbia, in un incidente durante la fase di rientro nell’atmosfera terrestre al termine di una missione nello spazio durata 16 giorni.
Anche se Israele ha un’industria spaziale ancora agli albori, il suo sogno di solcare la galassia va crescendo. Ne è prova anche una missione realizzata nel febbraio scorso da sei scienziati israeliani che hanno simulato le condizioni di vita su Marte per addestrarsi a una missione sul pianeta rosso nel prossimo futuro. Gli studiosi hanno trascorso quattro giorni nel deserto del Neghev, all’interno della grande depressione rocciosa del Makhtesh Ramon, per raccogliere dati utili sotto il profilo spaziale, scientifico e tecnologico. Il progetto, denominato D-Mars (Desert Mars Analog Ramon Station) è diretto dal dott. Hillel Rubinstein dell’Università Ben Gurion di Beer Sheva in cooperazione con l’Agenzia spaziale israeliana (Isa). L’intento è di creare un centro internazionale di simulazione e addestramento e il cratere di Ramon è stato scelto per le condizioni relativamente simili a quelle prevalenti su Marte in termini di topografia, struttura del suolo, aridità, morfologia e isolamento.