«A nome del 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America, vi diamo ufficialmente il benvenuto per la prima volta all’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, capitale di Israele». Così Ivanka Trump, la figlia di Donald Trump, ha esordito ieri 14 maggio nella cerimonia di inaugurazione della nuova ambasciata degli Usa a Gerusalemme. Dopo l’inno americano, è stata proprio Ivanka a scoprire la targa sul muro della delegazione americana. All’evento erano presenti oltre 800 invitati e anche Jared Kushner, il marito della figlia del Presidente Usa. «Quando Trump fa una promessa, la mantiene», ha detto. Poi è stata la volta del Presidente dello Stato d’Israele Benjamin Netanyahu. «Ricordate questo momento, questa storia – ha dichiarato -. Il Paese più potente del mondo oggi ha aperto a Gerusalemme la sua ambasciata. Eravamo a Gerusalemme e siamo qui per restarci». Il premier israeliano, in una diretta tv vista in tutto il mondo, ha ringraziato Trump per «per aver avuto il coraggio di mantenere la sua promessa», sottolineando che «non abbiamo migliori amici al mondo degli Usa».
Mentre la cerimonia si è svolta alle quattro del pomeriggio, erano già morti decine di manifestanti palestinesi al confine con la striscia di Gaza. Dopo i circa 50 morti degli ultimi sette venerdì di manifestazioni a Gaza per quella che hanno chiamato «la marcia del ritorno», il 14 maggio l’esercito israeliano ha ucciso almeno altri 50 civili. Più di duemila i feriti, di cui quasi 800 per colpi di arma da fuoco. Tra i morti anche alcuni minorenni e tantissimi ventenni.
«Amici miei, questo è un grande giorno per Israele, è un grande giorno per l’America, è un grande giorno per la nostra fantastica collaborazione, ma credo che sia anche un grande giorno per la pace», ha detto Netanyahu nel suo discorso nella nuova ambasciata americana a Gerusalemme. Mentre dentro si festeggiava, fuori dall’ambasciata la situazione diventava tesa a momenti. Centinaia di manifestanti erano giunti a esprimere il proprio dissenso tra bandiere, cori e cariche della polizia. Intanto a Gaza, a settanta chilometri di distanza, cadevano in decine sotto i colpi dei proiettili israeliani. Le proteste, infatti, erano iniziate già dalla mattina in tutta la Palestina.
«La nostra più grande speranza è la pace. Gli Stati Uniti rimangono pienamente impegnati a facilitare un accordo di pace duraturo», ha detto Donald Trump in un videomessaggio proiettato durante l’inaugurazione della nuova ambasciata americana. Dopo gli Stati Uniti, altri Paesi hanno in programma di trasferire la loro ambasciata a Gerusalemme. Mercoledì sarà la volta del Guatemala e toccherà prossimamente anche a Paraguay e forse a Romania e Repubblica Ceca.
Mentre la cerimonia era in chiusura, 14 manifestanti sono stati arrestati dalle forze di Polizia fuori dall”ambasciata. È stata una bandiera palestinese a innescare una delle cariche, ma già da prima la situazione era tesa. Nascosti agli occhi delle telecamere, in una via laterale, i poliziotti tenevano immobilizzati tre manifestanti.
Mentre da un lato dell’ingresso all’ambasciata, un gruppo di israeliani esultava con bandiere d’Israele, dall’altro lato manifestavano i contrari alla decisione di Trump. Tra loro molti palestinesi e diversi israeliani «contrari all’occupazione». Dalle case vicine, alcune donne tiravano acqua e liquidi maleodoranti. Poi i manifestanti con un forte applauso hanno accolto un gruppo di ebrei ultra-ortodossi che si è unito alla protesta. «Lo Stato di Israele non rappresenta il mondo ebraico», dicevano alcuni cartelli dei religiosi ultra ortodossi.
Verso le sei la protesta si è sciolta, mentre a Gaza continuavano a morire. Il bilancio di un tragico lunedì di sangue continua a salire.