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Egitto, rimpatriati i corpi dei martiri copti

Christophe Lafontaine
18 maggio 2018
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Egitto, rimpatriati i corpi dei martiri copti
Il Cairo, 14 maggio: la preghiera presieduta dal patriarca Tawadros II sulla pista dell'aeroporto (foto abouna.org)

Il 14 maggio la Libia ha reso le spoglie dei martiri copti decapitati dai jihadisti affiliati all'Isis nella città di Sirte. I feretri sono stati accolti con grande emozione dai cristiani dell'Egitto.


È stato un momento commuovente, quando in onore dei «martiri della fede e della patria», le campane delle chiese e dei monasteri hanno suonato in tutto l’Egitto, come riferisce l’agenzia Fides. Il 14 maggio resterà inciso nella memoria dei copti. Tre anni e tre mesi dopo il rapimento e l’uccisione presso la città di Sirte (a nord della Libia), i corpi di 21 cristiani, di cui 20 copti, uccisi per la loro fede all’inizio del 2015 dagli uomini a volto coperto appartenenti all’Isis, sono stati rimpatriati con un volo cargo nel loro Paese di origine. Il patriarca copto ortodosso, Tawadros II, e la ministra egiziana incaricato degli emigranti, Nabila Makram, hanno accolto ufficialmente i feretri all’aeroporto del Cairo. Il papa dei copti ha recitato una preghiera funebre sulla pista di fronte a numerosi vescovi e preti della Chiesa copta.

Le autorità libiche hanno rinvenuto i corpi nell’ottobre 2017, dopo avere riconquistato la città di Sirte dal sedicente Stato islamico. La maggior parte delle vittime proveniva dal distretto di Samalut, nel governatorato di Minya, a circa 250 chilometri a sud del Cairo. Uno dei migranti uccisi proveniva dall’Africa subsahariana. Le vittime avevano dai 20 ai 30 anni e metà di loro erano sposati. Come spiegato dal giornale Al-Mashareq, le autorità sono state in grado di identificare i 21 corpi grazie alle analisi del Dna prelevato presso i familiari. Ma non è stato facile a causa dello stato di decomposizione dei corpi e per il fatto che erano stati decapitati.

Il riposo eterno nella «chiesa dei martiri»

Le spoglie riposeranno nel villaggio di el-Awar, non lontano da Samalut, presso la nuova chiesa santuario, costruita per conservare la loro memoria. Questa «chiesa dei martiri» è stata inaugurata il 15 febbraio scorso e costruita con i fondi dello Stato egiziano. La data aveva significato simbolico: erano trascorsi tre anni da quando fu messo online su siti estremisti un video della loro decapitazione. Inginocchiati, indossavano una tuta arancione che nessuno ha più dimenticato. Una settimana dopo il massacro del 2015, il patriarca Tawadros III decise di iscrivere i nomi dei 21 uccisi nel Synaxarium, il libro dei martiri della Chiesa copta ortodossa, fissando come data per la loro commemorazione il giorno corrispondente al 15 febbraio.

«Il video che mostra la loro esecuzione – aveva dichiarato all’agenzia Fides il vescovo copto cattolico di Gizah, mons. Antonios Aziz Mina, è stato costruito come una messa in scena cinematografica terrificante allo scopo di diffondere il terrore». Ma dietro l’aspetto macabro, «si vede che alcuni martiri, al momento della loro barbara esecuzione, ripetono “Signore Gesù Cristo”». Senza dubbio questi cristiani sono morti per Cristo, senza rinnegarlo.

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