(g.s.) – Ci sarà anche un frammento di Terra Santa nel clima di festa che la diocesi di Bergamo sta vivendo in queste giornate speciali, iniziate il 24 maggio scorso, quando le spoglie mortali di san Giovanni XXIII – il «Papa buono», nato Giuseppe Angelo Roncalli nel 1881 proprio in questa provincia – sono state trasferite per un breve periodo dal Vaticano fin quassù.
L’urna del santo si trova ora a Sotto il Monte, il paese natale, dove è meta di pellegrinaggi che dureranno fino al 10 giugno, giorno del ritorno alla basilica di San Pietro. Nel pomeriggio di domenica 3 giugno è prevista una messa solenne concelebrata da tutti i vescovi della Lombardia. Con loro anche il rappresentante pontificio in Terra Santa, mons. Leopoldo Girelli, e l’amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, entrambi di origini bergamasche.
I due arcivescovi sono nati in decenni diversi: Girelli nel 1953, Pizzaballa nel 1965. Il primo aveva dieci anni quando Roncalli morì, il secondo non era ancora venuto al mondo. Entrambi hanno in comune con il Papa santo (che tra il 1925 e il 1944 fu delegato apostolico in Bulgaria, Turchia e Grecia) una lunga esperienza in Oriente, in contesti nei quali la comunità cattolica è minoranza marginale. Monsignor Girelli, da nunzio apostolico, ha operato soprattutto in Asia; Pizzaballa, da francescano, ha trascorso buona parte della sua vita a Gerusalemme.
A partire da questi dati abbiamo chiesto ai due ecclesiastici quale sia il loro rapporto spirituale con Papa Giovanni.
«Come rappresentante pontificio – osserva il nunzio Leopoldo Girelli – mons. Angelo Roncalli si distinse per la sua intensa sensibilità pastorale. Specialmente le sue missioni in Bulgaria e, successivamente, in Turchia, negli anni difficili che precedettero e costituirono la Seconda guerra mondiale, hanno rivelato la sua profonda umanità, il suo cuore aperto all’accoglienza e all’incontro con l’altro, attento e sollecito ai bisogni dei poveri, ecumenico nella sua visione ecclesiale. La sua azione diplomatica, perspicace, umile e concreta è sempre stata animata dal rispetto per la sacralità della vita, dal valore della persona umana, dalla volontà di perseguire il bene comune e in particolare della Chiesa».
«Per queste sue spiccate caratteristiche – soggiunge l’arcivescovo –, Papa Francesco ha voluto indicare a noi nunzi apostolici Giovanni XXIII quale modello ed esempio da seguire. Per me il modo d’essere di Papa Giovanni è stato ed è tuttora un riferimento nell’impegno al dialogo in differenti contesti multietnici, multiculturali e multireligiosi. Dalle mie esperienze negli anni trascorsi in Estremo Oriente, così come nella mia missione attuale nella Terra Santa, rimango sempre più persuaso che il dialogo sia la strada maestra per costruire una convivenza fondata sulla verità, sulla giustizia, sull’amore e sulla libertà, che sono i quattro pilastri della pace, mirabilmente delineata dall’enciclica giovannea Pacem in terris. Il dialogo richiede un cuore aperto, accogliente, umile e solidale che sono le caratteristiche, o meglio le virtù di Papa Giovanni, che vorrei imitare».
Sottolineando le radici comuni, il diplomatico pontificio a Gerusalemme riconosce: «A Papa Giovanni non mi lega solo l’appartenenza alla medesima terra, che è, per così dire, il Dna di ogni bergamasco, incancellabile, anche se si vive a lungo lontano dalla terra natale. Mi lega altresì il senso dell’obbedienza, che egli ha espresso nel suo motto episcopale Oboedientia et Pax. Mi lega il desiderio e il dovere pastorale di annunciare il Vangelo di Cristo nel mondo. Mi lega l’aspirazione alla pace alla cui costruzione la diplomazia vaticana contribuisce».
«In occasione, della mia ordinazione episcopale, nel giugno 2006, – rivela mons. Girelli – ho voluto che sul mio bastone pastorale fossero rappresentate le figure di alcuni santi, tra le quali quella di Papa Giovanni, come modello di vescovo e diplomatico. A quel tempo, Roncalli era beato, non ancora canonizzato, ma il sensus Ecclesiae lo considerava già santo e potente intercessore. Pertanto, da Gerusalemme mi reco pellegrino a Sotto il Monte per chiedere a Papa Giovanni la grazia della pace per questa terra, santa e martoriata».
L’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa rammenta di aver molto sentito parlare del «Papa buono» da bambino: «Sono nato dopo che Papa Giovanni era già morto e non ho di lui un’esperienza diretta. Sin da piccolo, però, ho sentito molto parlare di lui nei ricordi degli altri, in famiglia e in parrocchia. Diciamo che la mia nei suoi confronti era una devozione indiretta. Soltanto più avanti, arrivando in Terra Santa e leggendo e studiando, ho rivalutato Papa Giovanni che non era solo il papa della terra da cui io stesso provengo e il papa del Concilio, ma anche uomo di lunga esperienza in Medio Oriente e di grande umanità, ben radicato nella Storia e capace di visione per il futuro».
«È vero – riconosce – che con lui abbiamo in comune l’esperienza in Medio Oriente, l’essere minoranza, le guerre e persecuzioni. Da lui imparo in primo luogo a cercare di aiutare la gente e la popolazione quanto più possibile, come faceva mons. Roncalli durante la guerra, senza entrare in disamine di natura strettamente politica».
Conclude l’amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme: «La mia presenza a Sotto il Monte, domenica prossima, è agevolata dal fatto che avevo già in programma un viaggio in Italia, ma sono felicissimo di poter partecipare a un momento così importante per la diocesi di Bergamo, che è anche il luogo dove ha avuto inizio il mio ministero episcopale, con la consacrazione in cattedrale nel settembre 2016. Porterò davanti a san Giovanni XXIII i drammi, le fatiche, le ferite di noi in Terra Santa. Spesso non rimane altro da fare che consegnare tutte queste realtà alla preghiera di intercessione».