Se nella storia dell’uomo si dovessero cercare dei buchi neri, uno di questi sarebbe certamente quello dei campi di concentramento nazisti. Ombre che risucchiano tutto e dalle quali non esce luce. Se il tempo fosse uno spartito, in cui ogni persona è una nota, Auschwitz sarebbe una macchia d’inchiostro sul foglio che si è portata via per sempre una parte di composizione. Forse. O forse persino dal punto più buio della Storia è uscito qualcosa di bello?
Sembra che persino nella prigionia e nelle estreme privazioni di quei campi, alcuni indomabili siano riusciti a produrre musica. Di nascosto, naturalmente; la produzione artistica sarebbe stata un elemento di indipendenza inaccettabile in quegli inferni perfettamente organizzati. Della musica è stata scritta, nonostante tutto, ed è giunta fino a noi. Contro ogni aspettativa.
Se ne torna a parlare in questi giorni, in occasione di un concerto in calendario in Israele, il prossimo 15 aprile, all’International Convention Center di Gerusalemme. Notes of Hope (Note di speranza), questo il titolo dell’evento, è organizzato dal Fondo nazionale ebraico del Regno Unito e attinge ai trent’anni di ricerche di un pianista italiano, Francesco Lotoro. Dal 1989 il musicista si occupa di raccogliere, catalogare e incidere l’intera produzione musicale dei prigionieri dei campi di tutto il mondo (ogni genere di campi, di qualunque schieramento) nel periodo che va dal 1933 al 1953. È quella che oggi viene definita «letteratura musicale concentrazionaria» e che si compone, per ora, di 8 mila opere e 12 mila documenti, conservati alla Fondazione Istituto di letteratura musicale concentrazionaria di Barletta, in Puglia.
Nel concerto del 15 aprile alcuni di questi brani verranno eseguiti per la prima volta. Cosa che non sorprende, visto che il loro ritrovamento è spesso un miracolo. Il quotidiano inglese The Guardian cita ad esempio la storia di una canzone composta dalla poetessa Ilse Weber, ebrea tedesca che lavorava come infermiera nel campo di Theresienstadt. Insegnati ad alcuni bambini del campo, testo e musica sono arrivati fino a noi perché rimasti impressi nella memoria di una di quei bambini, Aviva Bar-On. Sarà lei stessa a cantarla il 15 aprile, accompagnata dall’orchestra sinfonica Ashdod di Israele.
Il lavoro di ricerca di Francesco Lotoro è spesso una lotta contro il tempo, dato che la morte di un sopravvissuto significa anche la perdita dei suoi ricordi. Raramente, infatti, la musica prodotta nei campi di sterminio veniva scritta su carta. In un’intervista su Pagina 99, Lotoro racconta, per esempio, la storia del polacco Aleksander Kulisiewicz, sopravvissuto a Sachsenhausen e dotato di una memoria prodigiosa. Dono, questo, messo a disposizione dei suoi compagni di prigionia, dei quali memorizzò le canzoni. Alla sua liberazione, Kulisiewicz le trascrisse (erano 764) e proseguì la sua ricerca sulla musica dei lager raccogliendo 2 mila pagine di materiale e diventando predecessore di Lotoro.
Ci sono arrivate composizioni tenute a mente, scritte sulla carta igienica, cantate di nascosto nelle latrine. Intervistato da The Guardian, Lotoro descrive questi ritrovamenti come l’eredità di artisti che, nonostante avessero perso la libertà in circostanze inimmaginabili, sono riusciti a preservarla attraverso la musica e la speranza (remota) che venisse un giorno scoperta; «Con il concerto cerchiamo di ridare vita e dignità a questi artisti» spiega.
La cosa più sorprendente non sono tanto le incredibili circostanze attraverso le quali ci è giunta questa musica, quanto la musica stessa. Nel nostro immaginario i campi di concentramento sono un orrore indescrivibile, regno della sofferenza. Eppure la maggior parte di queste composizioni sono gioiose, segno che alcune facoltà umane non si piegano nemmeno sotto la forza di una violenza inaudita. Il Guardian è stato in grado di recuperare Tatata, un brano di Willy Rosen e Max Ehrlich i quali, prima di essere deportati ad Auschwitz, seppero far uscire dal campo di Westerbork alcune delle loro composizioni. Ascoltando Tatata ce li si può immaginare in paradiso, a festeggiare la fine di tutte le loro sofferenze.