Il teff mette radici in Israele
Uno degli alimenti tipici della cucina etiope si fa largo anche in Israele, per soddisfare il fabbisogno della componente ebraica immigrata del Corno d'Africa. Ma non solo.
Addis Alam, «un nuovo Mondo». Ya’acov Almo e Uri Ben-Baruch, due fratelli immigrati in Israele dall’Etiopia, hanno scelto queste parole in amarico per l’associazione agricola con cui vogliono coltivare cereali e spezie tipiche della cultura etiope. L’idea è quella di soddisfare le esigenze degli ebrei etiopi, che in Israele fanno fatica a mantenere le proprie abitudini alimentari e – adattandosi a una nuova dieta – stanno riscontrando problemi di salute, dolori di stomaco e un aumento dei casi di diabete.
In particolare, pare che il problema sia legato alle farine bianche che hanno rimpiazzato la farina di teff, il cereale che da temila anni gli etiopi utilizzano per il piatto base della loro cucina, il pane chiamato enjera con cui accompagnano carne e verdure.
Convinti che «in Terra Santa si possa crescere qualsiasi cosa», Almo e Ben-Baruch, hanno cominciato a coltivare il teff in alcune aree agricole vicino a Gerusalemme, nel moshav di Ofra e nella zona di Beit Shemesh. Ma la visione per Addis Alam è quella di riuscire ad acquistare una quantità di terra che consenta ai membri dell’associazione di tornare alla tradizione agricola con cui sono cresciuti. Il ministero dell’Agricoltura israeliano ha acconsetito a consegnare un appezzamento di terra ad Addis Alam a patto che i membri accettassero fare formazione. Nel 2017 trenta futuri contadini hanno terminato il corso e ora si è in attesa del prossimo passo e dell’assegnazione dei terreni.
Al centro del progetto sta il teff, che oltre ad essere un elemento base della cucina etiope oggi è considerato un super food nei paesi occidentali.
«Il teff in realtà appartiene alla famiglia delle colture chiamate “orfane” perché l’Occidente non è mai stato interessato a coltivarle», afferma Yehoshua “Shuki” Saranga, professore associato di Scienza delle coltivazioni alla facoltà di Agraria dell’Università ebraica. Negli ultimi venti o trent’anni però, anche i paesi occidentali hanno iniziato la loro esplorazione del teff, in particolare da quando la Food and Drug Administration statunitense lo ha dichiarato un «super cibo» con il potenziale di essere il prossimo «super cereale». Il teff in fatti è completamente privo di glutine (quindi adatto ai ciliaci), ricchissimo di ferro, calcio, proteine, fibre e minerali.
Un altro vantaggio di questo cereale è la capacità di crescere anche in condizioni climatiche molto difficili, e come se non fosse abbastanza il suo ciclo produttivo dalla semina al raccolto è davvero breve (circa 70 giorni). «Il centro della produzione mondiale resta l’Etiopia», spiega il prof. Saranga, «ma alcuni paesi europei, gli Stati Uniti, il Sud Africa e l’Australia hanno iniziato a coltivarlo». E negli ultimi anni anche Israele ha lanciato il suo progetto di ricerca. «L’interesse israeliano per questo cereale è decisamente dovuto anche alla comunità di ebrei etiopi», afferma Saranga. «Negli anni Novanta i ricercatori israeliani hanno iniziato a fare ricerca grazie a una grande collezione di tipi di teff che avevamo a disposizione. Ma l’importazione dall’Etiopia consentiva alla comunità di soddisfare il fabbisogno, e solo dopo una forte siccità che ha colpito l’Etiopia quattro anni fa, a causa del calo delle importazioni, sia ricercatori che agricoltori hanno iniziato a sperimentare per trovare soluzioni».
Saranga e il suo team hanno iniziato a fare ricerca sul teff tre anni fa, testandolo sui terreni del Neghev e del Golan. Le dimensioni della pianta sono problematiche, sia perché il seme è minuscolo – un grammo equivale a circa 4.000 semi – sia perché la pianta viene sradicata facilmente. «Adattare questo tipo di semente ai macchinari della produzione industriale è un problema», afferma Saranga. Ma si stima che negli ultimi anni circa 500 ettari siano stati riconvertiti alla coltivazione del teff. «E gli agricoltori non stanno con le mani in mano ad aspettare che noi ricercatori forniamo soluzioni», afferma il professore. «Stanno sviluppando nuovi modi di seminare e coltivare, direi che stiamo camminando assieme per capire come adattare questo tipo di coltivazione alla situazione israeliana». E gli agricoltori di Addis Alam vogliono fare la loro parte.
Perché S(h)uq
Suq/Shuq. Due lingue – arabo ed ebraico – e praticamente una parola sola per dire “mercato”. Per molti aspetti la vita in Israele/Palestina è fatta di separazioni ed attriti, e negli ultimi anni è cresciuta la distanza fra la popolazione araba ed ebraica. Ma il quotidiano è fluido e anche sorprendente. Come a Gerusalemme i dettagli architettonici di stili diversi convivono da sempre uno vicino all’altro, anche le persone in questa terra non smettono mai di condividere del tutto. E il mercato è uno dei luoghi in cui questo è più evidente. Ebrei, musulmani, stranieri, immigrati, pellegrini. Ci si ritrova lì: per comprare, mangiare, vendere, ballare, e anche pregare. Questo blog vuole essere uno spazio in cui incrociare le storie, persone e iniziative che possono aiutarci a cogliere qualcosa in più su come va la vita da queste parti, al di là della politica e della paura.
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Federica Sasso è una giornalista e vive a Gerusalemme. La sua prima redazione è stata il Diario della Settimana, poi da New York ha collaborato con testate come Il Secolo XIX, l’Espresso, Altreconomia e con la Radio della Svizzera Italiana. Da Gerusalemme scrive per media italiani e produce audio reportages per la radio tedesca Deutsche Welle. Per Detour.com ha co-prodotto documentari sonori che consentono di esplorare Roma accompagnati dalle voci di chi la conosce bene.