L’amico africano di Anna Frank
Yikealo Beyene è eritreo. Ama Israele, dove ha vissuto alcuni anni. Ha conosciuto per la prima volta gli ebrei dal diario di Anna Frank. Ora dagli Usa sostiene la causa dei richiedenti asilo africani.
Yikealo Beyene ama Israele, così tanto da considerarlo una seconda casa. Ma in queste settimane sta facendo la sua parte per sensibilizzare le comunità ebraiche americane riguardo alla decisione del governo israeliano di espellere decine di migliaia di richiedenti asilo africani. Beyene è un rifugiato eritreo e oggi vive negli Stati Uniti, ma prima che la sua domanda di asilo in quel Paese fosse accolta ha passato otto anni in Israele. La sua storia per certi versi è identica a quella di migliaia di richiedenti asilo eritrei e sudanesi che vivono tra la zona sud di Tel Aviv, e le città di Beer-Sheva o Eilat (nel deserto del Neghev). Costretto a fuggire dall’Eritrea dopo torture e oppressioni da parte del regime, Beyene ha attraversato il confine con l’Etiopia e dopo un periodo in un campo profughi e una fuga che lo ha portato prima in Sudan, poi al Cairo. Nel 2008, attraverso la penisola del Sinai, ha varcato di nascosto il confine egiziano con Israele.
Durante quel viaggio forzato Yikealo Beyene ha anche fatto incontri che gli hanno cambiato la vita. Ai microfoni del podcast israeliano Israel Story, Beyene ha raccontato che all’interno del campo profughi etiope c’era una biblioteca parecchio fornita, e durante le lunghe giornate passate tra libri di poesia e narrativa ha «fatto amicizia» con uomini e donne di tante culture, tra cui una ragazza olandese di tredici anni costretta a nascondersi in una soffitta. Beyene non conosceva la storia di Anna Frank (1929-1945), e non sapeva nulla del popolo ebraico. «Quando sono arrivato alla fine del diario non ho potuto fare a meno di piangere. Pensavo che sarebbe stata liberata e mi sentivo come se avessi perso un’amica. È stato molto doloroso», racconta. Dopo aver letto e riletto le parole di Anna Frank, Beyene ha deciso di tradurle nella sua lingua, il tigrino, per rendere questa storia accessibile anche ai connazionali.
Gli ci sono voluti due anni per finire la traduzione, grazie a un piccolo dizionario, qualche matita e un quaderno. Ma poco dopo la situazione in Etiopia è cambiata, il campo ha cominciato a subire incursioni di gruppi armati e Beyene è stato costretto a fuggire di nuovo. Nella traversata verso l’Egitto – e prima ancora verso il Sudan – i trafficanti non gli hanno consentito di portare nulla con sè, e Beyene ha dovuto cedere ogni documento, inclusa la traduzione del Diario. Ma “l’amicizia” con Anna Frank non poteva esser portata via, e quando i trafficanti hanno comunicato al gruppo di africani che li avrebbero lasciati alla frontiera tra Egitto e Israele, Beyene non sapeva nient’altro di questo posto se non che questa era la terra degli ebrei, il popolo della sua amica. Così quando è stato fermato da una pattuglia di soldati subito dopo aver passato di nascosto la frontiera, la prima cosa che Benyene ha chiesto a un giovane riservista israeliano è stata se conosceva Anna Frank e poteva metterlo in contatto con la sua famiglia. Il soldato (stupito) ha risposto che sì, conosceva Anna Frank, e gli ha offerto pane e marmellata prima di portarlo a un accampamento militare da cui poi Beyene è stato trasferito alla stazione degli autobus: destinazione Gerusalemme.
Ykealo Beyene è arrivato in Israele nel 2008, quando la tolleranza verso i migranti provenienti dall’Africa era più alta e non era ancora stata costruita la barriera al confine con l’Egitto. La vita in Israele non è stata facile, ma Beyene ha trovato lavoro in un’impresa edile, ha potuto finire l’università e frequentare un master. Nel frattempo è diventato uno dei leader della sua comunità, ha aperto un dopo-scuola per i figli dei rifugiati eritrei e ha tradotto daccapo il Diario di Anna Frank.
Oggi le cose sono molto diverse in Israele. Domenica 4 febbraio il governo ha iniziato a consegnare ai richiedenti asilo che rinnovano il permesso di soggiorno un documento in cui si comunica che entro 60 giorni devono scegliere se esser deportati verso un paese africano – che secondo le organizzazioni che si battono per i diritti dei migranti sarebbe il Ruanda – ricevendo circa 3.000 euro, oppure venire incarcerati per un periodo indefinito. Per ora il governo consegnerà il documento solo ai richiedenti asilo maschi e senza figli, ma si teme che il provvedimento di espulsione verrà allargato anche alle famiglie. Organizzazioni umanitarie, gruppi religiosi e singoli membri della società civile israeliana (tra cui molti sopravvissuti all’Olocausto) si sono mobilitati contro la nuova legge, sottolineando che eritrei e sudanesi non sono migranti economici, ma richiedenti asilo che hanno il diritto di essere protetti. Israele ha già stipulato un accordo precedente con Uganda e Ruanda per l’accoglienza di richiedenti asilo che avessero scelto volontariamente di partire. Ma secondo le testimonianze raccolte da ricercatori israeliani che hanno intervistato eritrei e sudanesi arrivati in Europa dopo aver accettato di lasciare Israele, questi paesi non sono porto sicuro in cui ricominciare. Molti africani sono stati costretti a lasciare Uganda e Ruanda, questa volta diretti verso l’Europa attraverso la Libia. Benyene è stato invitato a parlare nelle sinagoghe per spiegare alle comunità ebraiche americane cosa significa per la sua gente quest’ultima decisione del governo israeliano. Ora si vedrà se grazie alla pressione interna, unita alla disapprovazione espressa da molta parte della diaspora, le autorità israeliane decideranno di non costringere i richiedenti asilo a farsi incarcerare pur di non esser deportati.
Perché S(h)uq
Suq/Shuq. Due lingue – arabo ed ebraico – e praticamente una parola sola per dire “mercato”. Per molti aspetti la vita in Israele/Palestina è fatta di separazioni ed attriti, e negli ultimi anni è cresciuta la distanza fra la popolazione araba ed ebraica. Ma il quotidiano è fluido e anche sorprendente. Come a Gerusalemme i dettagli architettonici di stili diversi convivono da sempre uno vicino all’altro, anche le persone in questa terra non smettono mai di condividere del tutto. E il mercato è uno dei luoghi in cui questo è più evidente. Ebrei, musulmani, stranieri, immigrati, pellegrini. Ci si ritrova lì: per comprare, mangiare, vendere, ballare, e anche pregare. Questo blog vuole essere uno spazio in cui incrociare le storie, persone e iniziative che possono aiutarci a cogliere qualcosa in più su come va la vita da queste parti, al di là della politica e della paura.
—
Federica Sasso è una giornalista e vive a Gerusalemme. La sua prima redazione è stata il Diario della Settimana, poi da New York ha collaborato con testate come Il Secolo XIX, l’Espresso, Altreconomia e con la Radio della Svizzera Italiana. Da Gerusalemme scrive per media italiani e produce audio reportages per la radio tedesca Deutsche Welle. Per Detour.com ha co-prodotto documentari sonori che consentono di esplorare Roma accompagnati dalle voci di chi la conosce bene.