Sono i primi a fare le spese della nuova linea politica decisa dal governo israeliano in materia di immigrazione. Sette richiedenti asilo eritrei, sottoposti a procedura d’espulsione, sono stati arrestati il 20 febbraio scorso in Israele per essersi rifiutati di lasciare il Paese.
I sette sono ora rinchiusi nella prigione di Saharonim, nel deserto del Neghev. In precedenza erano stati “ospiti” di Holot, un centro di raccolta creato 4 anni fa nel medesimo deserto e destinato agli immigrati irregolari o richiedenti asilo, che possono uscire di giorno, ma hanno l’obbligo di rientro serale.
Due dei sette eritrei, riferiscono i media israeliani, subirono torture nella penisola del Sinai (attraversata per raggiungere il confine meridionale dello Stato ebraico). Resteranno in cella per un periodo indefinito, a meno che non decidano di accettare l’espulsione.
Le nuove regole annunciate il 3 gennaio scorso dal governo Netanyahu stabiliscono che gli eritrei e sudanesi – considerati «infiltrati illegali» – che non hanno istruttorie in corso per la domanda d’asilo possano essere espulsi verso un Paese terzo. Le destinazioni probabili sono Ruanda o Uganda, in virtù di accordi finanziari non ufficiali tra i due Paesi e Israele. Le autorità israeliane si faranno carico del biglietto aereo e consegneranno ad ogni partente la somma di 3.500 dollari. Sarebbero oltre 40 mila gli eritrei e sudanesi candidati all’espulsione ed immigrati illegalmente in Israele dalla penisola del Sinai tra il 2006 e il 2007. Un flusso che si è arrestato con la costruzione da parte di Israele di un’alta barriera lungo tutta la frontiera con l’Egitto.
Per protestare contro gli arresti, i migranti confinati nel campo di Holot hanno proclamato uno sciopero della fame. Su 900 richiedenti asilo in attesa nel centro, un centinaio ha ricevuto la notifica di espulsione, secondo quanto riferisce l’emittente televisiva israeliana i24news.
Secondo alcuni rapporti governativi, Israele intende espellere 7.200 persone ogni anno. Se rifiutassero, si porrebbe un problema di capienza delle carceri. I reclusori israeliani non sono in grado di accogliere migliaia di migranti, spiegano i responsabili del sistema penitenziario.
Il piano governativo – precisa l’Agenzia France Presse – che riguarderà in un primo tempo i maschi soli che non hanno ancora presentato domanda d’asilo, o la cui domanda è stata respinta, ha incassato aspre critiche dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur/Unhcr). Obiezioni provengono anche dai responsabili della Chiesa cattolica di Terra Santa, da intellettuali, medici e sopravvissuti alla Shoah.
Un sondaggio realizzato in gennaio dall’emittente i24news indicava, però, che il 56 per cento degli israeliani erano favorevoli alle espulsioni, soprattutto se eseguite senza ricorso alla violenza. Un terzo degli intervistati, invece, si oppone all’allontanamento dei migranti. Da inizio anno si sono svolte nel Paese numerose manifestazioni per contestare la decisione governativa.
Un tribunale di Tel Aviv ha emesso una sentenza, giovedì 15 febbraio, che potrebbe contrastare con i piani del governo di espellere entro aprile migliaia di irregolari eritrei (sarebbero 20 mila quelli entrati illegalmente in Israele). Secondo la corte, la diserzione dai ranghi dell’esercito eritreo (che, di fatto, ha una ferma dalla durata indefinita – ndr) costituisce «una solida ragione di persecuzione». Dunque, gli eritrei richiedenti asilo che sono giunti in Israele dopo aver disertato hanno titoli sufficienti per ottenere lo status di rifugiati.
Per Ori Lahat, che dirige una ong in difesa dei migranti africani, la decisione del tribunale di Tel Aviv rappresenta una svolta che, di regola, dovrebbe tradursi con uno stop ai piani d’espulsione. Il quotidiano The Times of Israel riferisce il commento di Yossi Edelstein, capo delle forze di sicurezza che si occupano degli stranieri immigrati e del controllo delle frontiere, secondo il quale il ministero dell’Interno sta ancora studiando le ricadute della sentenza per i richiedenti asilo eritrei.