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Damasco: appelli dal mondo per fermare i massacri

Terrasanta.net
27 febbraio 2018
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Damasco: appelli dal mondo per fermare i massacri
Febbraio 2018: un bambino ferito in un bombardamento sulla Ghouta orientale.

In Siria, nella Ghouta occupata dagli estremisti islamici e bombardata dal governo, 400 mila persone patiscono gli orrori della guerra. Richieste in tutto il mondo perché sia attuata la risoluzione dell’Onu.


Ogni anno si ricorda il massacro di civili di Srebrenica e l’assedio di Sarajevo durato 47 mesi. Nella Ghouta orientale, territorio alle porte di Damasco, vivono oggi intrappolate circa 400 mila persone in un assedio che sta per giungere al quinto anno. La zona è diventata un enorme campo di concentramento dove si può morire di fame o per assenza di cure, anche quando non si è colpiti dalle bombe. Accade in questi giorni, soprattutto a bambini e anziani.

Gli operatori delle Nazioni Unite sono pronti a intervenire con gli aiuti di massima urgenza, come ha dichiarato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ma si deve «arrestare questo inferno sulla terra». Domenica 25 febbraio il papa ha ricordato nell’Angelus la guerra che «si è intensificata, specialmente nella Ghouta orientale», chiedendo che si dia accesso agli aiuti umanitari e siano evacuati feriti e malati. «Tutto questo è disumano – ha aggiunto il papa –. Non si può combattere il male con altro male. E la guerra è male». Sempre domenica le forze armate del governo siriano hanno colpito la zona con bombardamenti aerei e colpi di artiglieria, violando la risoluzione 2401 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu approvata all’unanimità il giorno prima e che impone il cessate il fuoco di 30 giorni in tutto il Paese. La risoluzione richiede che a Ghouta arrivino aiuti umanitari e cure mediche e si permetta di evacuare i feriti.

Ma il testo non precisa le modalità di intervento. Lunedì 26 febbraio il presidente russo Putin, ha ordinato una tregua di alcune ore al giorno e l’apertura di corridoio umanitario per evacuare i civili. Putin è stato accusato dai Paesi occidentali di avere ritardato di due settimane l’approvazione di questa risoluzione, consentendo così a Bashar al-Assad di intensificare gli attacchi sulla Ghouta. Attacchi che non sono comunque cessati, perché, come ha dichiarato l’ambasciatore di Damasco all’Onu, il governo continuerà a dare la caccia a quelli che considera gruppi terroristi. L’annuncio di Putin, perciò, è l’unica speranza per un’effettiva attuazione della risoluzione, considerato il ruolo che le forze russe hanno nel sostenere l’alleato Assad.

Dal 2012 questo territorio di circa 100 chilometri quadrati, a mezz’ora di auto dal centro di Damasco, è in mano a diversi gruppi armati ribelli, che nel corso del 2017 hanno avuto anche scontri tra loro. Le formazioni militanti che lo hanno occupato sono Jaish al-Islam, un gruppo salafita insediato nella città di Douma; Hayat Tahrir al-Sham, qaedisti conosciuti in passato come fronte Al-Nusra; Faylaq al-Rahman, affiliato all’Esercito libero siriano, religiosamente meno estremista, oltre ad altri gruppi minori.

La Goutha orientale è una spina nel fianco del governo di Damasco, che Assad sta cercando di riconquistare a ogni costo. Da qui sono partiti numerosi attacchi alla capitale, inclusi i recenti colpi di mortaio che hanno colpito la città vecchia e i quartieri cristiani

In questo quadro restano intrappolati i civili: oltre 500 morti ammazzati in una settimana, secondo i principali media internazionali, di cui 130 bambini. Solo domenica, dopo l’approvazione della risoluzione dell’Onu, le vittime sarebbero state 14. Ma da anni la popolazione è una di quelle che più soffre per la guerra. Nell’agosto 2013 Ghouta è stata bersaglio del più noto attacco con armi chimiche (sarin) di tutto il conflitto e di cui sono state accusate le forze governative. Con la mediazione russa, Damasco aveva aderito al trattato Onu per il bando di queste armi. Ma l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche accusa sia il governo di Damasco (oltre all’Isis per altri attacchi) di avere proseguito nell’uso di armi chimiche. Damasco nega responsabilità, ma nell’ottobre 2017 la Russia ha posto il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza per indagini su queste armi proibite.

Dal 18 febbraio, intanto, sono proseguiti i raid aerei e le truppe di terra stanno stringendosi intorno al territorio sotto assedio. Oltre alle bombe sono stati scaricati barili riempiti di esplosivi che distruggono in maniera ancora più indiscriminata. Anche forze russe, prima della risoluzione dell’Onu sono state direttamente coinvolte negli attacchi.

Medici senza frontiere ha comunicato che tredici strutture mediche in cui è presente sono state colpite. Il sistema ospedaliero è al collasso. Gli abitanti si nascondono nelle cantine e in altri ripari sotterranei. Chi è riuscito a sopravvivere in questo lunghissimo assedio lo ha fatto grazie alle coltivazioni di qualche pezzo di terra e al contrabbando di merci e carburante attraverso tunnel sotterranei che collegavano la Ghouta orientale ad altri quartieri di Damasco. Oggi, smantellata la rete di tunnel e sotto i bombardamenti continui, la situazione è disperata.

Il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, non cessa di denunciare il peggioramento della situazione in Siria e l’orrore in cui si trovano migliaia di persone, vittime di atrocità provocate nella guerra civile dagli innumerevoli schieramenti armati. Il Consiglio ecumenico delle Chiese in un comunicato ha espresso sgomento per quello che sta accadendo in questi giorni nella Ghouta, ma anche a Afrin e in tutte le zone sotto assedio: «moralmente inaccettabile e da condannare secondo tutte le norme, comprese quelle del diritto internazionale».

Le famiglie intrappolate, che hanno subito con l’assedio anche l’oppressione dei gruppi armati estremisti, sanno che uscire dall’assedio significa consegnarsi al governo. Lo stesso governo che nel 2011 aveva fermato le manifestazioni pacifiche di opposizione con le bombe. Come a Sarajevo nel 1994, a Grozny nel 2000 o in Sri Lanka nel 2009, la maggioranza, disarmata, muore. (f.p.)

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