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Tira brutta aria per la famiglia Bin Laden

Fulvio Scaglione
12 gennaio 2018
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In Arabia Saudita le fortune del clan Bin Laden - da cui uscì Osama, l'uomo di punta di al Qaeda - sembrano ormai al tramonto. Effetti della grande purga voluta dal principe Mohammed bin Salman.


Fine di un’epoca. Nelle pieghe della grande purga di principi e notabili con cui Mohammed bin Salman, l’erede al trono dell’Arabia Saudita, si sta spianando la strada alla successione, è finita anche la famiglia Bin Laden, quella che diede i natali al superterrorista Osama bin Laden, fino ai primi anni Novanta uomo di fiducia della casa reale saudita per i rapporti con i vari jihadisti, in quell’epoca soprattutto i mujaheddin del popolo afghani.

Bakr bin Laden, presidente del gruppo e patriarca della famiglia, e una decina di suoi parenti sono stati messi agli arresti e da quella scomoda posizione sono ora chiamati a trattare con gli emissari del principe Mohammed. Il quale, come ha fatto con le decine di ricchi e potenti arrestati finora, prima di rimetterli in libertà cerca di spremere ai Bin Laden la maggior quantità di denaro possibile.

Da questo punto di vista la storia imprenditoriale della famiglia è quanto di più saudita e mediorientale si possa immaginare. Di origine yemenita, i Bin Laden hanno costruito un impero basato sulle costruzioni. E, ovviamente, sul favore della casa reale, senza il quale, come ben dimostrano gli ultimi eventi, in Arabia Saudita si fa poca strada. Che la Bin Laden Construction fosse entrata nel giro giusto lo si vide già nel 1979 quando Juhaiman ibn Said al-Utaiba, discendente di una delle famiglie più prestigiose del Paese, occupò con qualche centinaio di militanti la Grande Moschea della Mecca. La crisi finì due settimane dopo in una strage ma in quei giorni continuarono ad andare a venire nel sito i camion dei Bin Laden, che avevano ottenuto dal re un appalto da quattro miliardi di dollari per il riassetto dei Luoghi Santi dell’islam. Poche settimane prima di quell’accenno di guerra civile, presso l’Università di Gedda si era laureato in ingegneria civile Osama, il futuro fondatore di al Qaeda.

Nei suoi momenti di maggior fortuna l’azienda dei Bin Laden ha avuto anche 100 mila dipendenti, e per decenni si è accaparrata tutti gli appalti più succulenti, senza subire alcuna conseguenza per aver dato i natali al famoso Osama, diventato nel frattempo nemico giurato della casata dei Saud. Tutto ha una fine, però, e adesso pare proprio scaduto il tempo dei Bin Laden. Dopo i poliziotti, si sono presentati ai Bin Laden i sicari finanziari di Mohammed bin Salman, i quali sostengono che i costruttori devono restituire 100 miliardi di dollari «di competenza dello Stato». Anche quella somma astronomica, però, potrebbe non bastare: il governo saudita ha formato una commissione per esaminare i bilanci, i contratti in essere e i rapporti con i fornitori e i clienti della Bin Laden Construction. Tra le ipotesi che circolano c’è anche quella secondo cui l’azienda verrebbe di fatto spolpata con la confisca da parte dello Stato dei suoi “pezzi” migliori.

Anche i ricchi piangono, dunque, in Arabia Saudita, di questi tempi. O per meglio dire: piangono i ricchi che, quando gli equilibri di potere sono cambiati, erano sul lato sbagliato della barricata. Succede. Anche ai Bin Laden.

 


 

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Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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