Il Kurdistan è diventato un oggetto gradito ai media e agli autori, per molte ragioni che vanno dalla simpatia per le rivendicazioni identitarie di un popolo negletto e sparso in quattro Paesi (Iran, Iraq, Siria e Turchia), all’apprezzamento per la determinazione dei curdi nella lotta contro il sedicente Stato islamico. Questa simpatia e sostegno spesso si alimentano di falsi miti: dalla convinzione che i curdi siano una entità perfettamente unitaria, quando invece suddivisioni e conflitti di interesse tra i quattro confini di appartenenza sono enormi, alla libertà di cui godono le donne, un falso mito anch’esso, considerato che in molte aree del Kurdistan iracheno si pratica l’infibulazione, i matrimoni precoci sono ordinari e le donne restano sottoposte a un sistema patriarcale difficile da penetrare. Negli ultimi anni questa zona del mondo è stata molto raccontata con il linguaggio della graphic novel e uno di questi buoni tentativi è il libro di Claudio Calia, edito da BeccoGiallo: racconta l’esperienza di un disegnatore che trascorre 15 giorni nel Nord dell’Iraq a fianco degli operatori umanitari dell’ong Un ponte per… che disloca le sue missioni tra le città di Erbil, Dohuk e Sulymaniyah, oltre che nei numerosi campi per sfollati interni e richiedenti asilo dalla Siria che sorgono nella zona tra Ninive ed Erbil. Il libro ha il suo punto di forza, e nello stesso tempo di debolezza, nella voluta ingenuità con cui è costruito: nel tratto grafico e nella sceneggiatura. Per tutto il tempo del racconto, il disegnatore ci tiene a spiegare che il suo sguardo è come quello di un marziano sceso sulla terra, che non è mai stato in zone di conflitto e che è pronto a farsene stupire per trarre da questa esperienza il massimo possibile. Così c’è una certa enfasi sul viaggio, sul lungo scalo a Istanbul complicato dagli eventi del recente golpe (luglio 2017), e sul rientro in patria, al sicuro, esattamente come qualsiasi viaggiatore poco aduso a queste zone farebbe.
Entro questa cornice narrativa, il fumetto si muove alla ricerca di testimoni – tantissimi – nei luoghi dove “Un ponte per…” opera, che Calia visita e dove insegna fumetto, contribuendo concretamente ai programmi di aiuto alla popolazione ospite delle missioni umanitarie. Molte vignette di Kurdistan si focalizzano proprio su queste testimonianze e sono molto essenziali, lasciando spazio alla voce nuda e forte di queste storie personali: così troviamo l’autista iracheno fuggito da Mosul governata dall’Isis; il richiedente asilo arabo-siriano-sunnita che viveva a Dyala e che scappa, al contrario, dalle milizie sciite; l’operatore umanitario cristiano proveniente da Sinjar che vorrebbe diventare fumettista; il profugo siriano minacciato dal regime di Bashar al-Assad; l’attivista yazida che conduce Claudio Calia nel santuario di Lalish; il medico-“claun” che racconta il suo percorso in aiuto degli ultimi e dei bambini in ospedale. Con questa modalità, Calia si approccia di volta in volta a un pezzo di Kurdistan iracheno, facendolo raccontare dai suoi stessi protagonisti: iracheni o siriani, di etnia araba o curda, di religione islamica sunnita o sciita, cristiana caldea o yazida, tutti con vicende alle spalle dolorose, ma anche intrise di speranza. Speranza che, di fatto, viene fornita loro da altri esseri umani che forniscono il proprio appoggio in una situazione di emergenza. Centrale, tra queste testimonianze, è l’intervista a padre Jacques Murad, a cui l’autore dedica ben 40 pagine. L’episodio da solo vale tutto il libro. Padre Murad – monaco e, con padre Paolo Dall’Oglio (rapito nel luglio 2013 a Raqqa), fondatore del monastero di Mar Musa in Siria – di questo viaggio diventa la voce rivelatrice dei rapporti di forza della politica, del cuore spirituale di questa terra di Abramo, del senso evangelico della compassione, del ripudio della guerra e della domanda esistenziale sulla Verità di Dio, rispetto alla quale si è sempre alla ricerca. Il religioso parla anche della sua detenzione durata quasi 5 mesi nelle mani degli jihadisti in Siria, nel 2015, e mostra il suo lato umano più profondo, insieme, per assurdo, anche a quello dei suoi carcerieri, pur nella scelta reiterata che essi fanno del Male.
Kurdistan. Dispacci dal fronte iracheno non dice molto di nuovo su questa terra a chi la conosce e ne conosce anche gli uomini e le donne che la abitano; non va in profondità nel rendere tutta la complessa realtà storica e contemporanea del luogo; ma ha il pregio, in 180 pagine, e in punta di piedi, senza falsi protagonismi, di potere avvicinare molti nuovi lettori a umanissime storie locali e alle attività di un’ong italiana che da anni opera – e bene – in questo non facile scenario.
Claudio Calia
Kurdistan
Dispacci dal fronte iracheno
ed. BeccoGiallo, Padova 2017
pp. 184 – 16,50 euro